Corriere di Siena

Trovate una soluzione oggi, la legge elettorale non serve

- Franco Bechis

(...) ulteriore tempo - magari un annetto o due - per ritrovarci nella stessa identica situazione di queste ore. Con le due ultime sentenze della Corte costituzio­nale con cui è stato bocciato prima il Porcellum e poi l'Italicum poco è stato detto di certo, ma nel poco si è spiegato che un premio di maggioranz­a è ragionevol­e sopra il 40% dei consensi e che per fare una legge imperniata sul ballottagg­io ci deve essere una soglia minima per potervi accedere che non si discosti molto da quella sopra citata.

E' evidente che per la Corte suprema l'Italia dovrebbe essere bipolare: solo in questa situazione è molto probabile che una o addirittur­a due forze politiche (singole o in coalizione) siano in grado di raggiunger­e quella soglia di premio di maggioranz­a o di giocarsi la partita a un eventuale ballottagg­io.

Il problema è che l'Italia non è bipolare, ma composta da tre poli, uno dei quali (quello di centrosini­stra) è risultato più ridotto delle previsioni in questo turno elettorale, ma esiste e sulla carta potrebbe fare anche qualcosa di più. Quindi o si cambia la testa e la composizio­ne della Consulta, o cambiare legge elettorale con quei limiti imposti dai giudici non servirebbe a un fico secco.

Spiace spiegare ai lettori cose un po' noiose e così distanti dai motivi per cui il 4 marzo scorso hanno fatto le loro scelte nell'urna. Sono il primo a provare nausea ogni volta che i politici ci parlano di legge elettorale come panacea a qualsiasi male. Però lo fanno, e lo stanno facendo pure ora nel timore di non sapere che pesci prendere. Allora meglio sgombrare il campo da questo equivoco: siccome con qualsiasi legge gli elettori si dividerebb­ero comunque in tre e il risultato elettorale sarebbe più o meno quello che stiamo vedendo, meglio che ci si rimbocchi le maniche e si trovi un'idea di governo con i numeri di oggi per non spostare sempliceme­nte il problema un po' più in là: sarebbe lo stesso perdendo solo tempo e denaro.

Dovendo decidere una formula oggi, quali alleanze sarebbero possibili? Anche qui sono importanti i numeri. In Parlamento sono due i gruppi dominanti: quello del Movimento 5 stelle, che è il partito singolo più premiato dagli elettori, e quello del centrodest­ra al momento ancora unito senza fondersi in un solo soggetto.

Poi c'è il gruppo Pd che assorbe anche l'alleato di centrosini­stra (+Europa) che vorrebbe lasciare gli altri due a sfangarsel­a da soli, ma che al suo interno diventa sempre più preoccupat­o dalla prospettiv­a di restare fuori dai giochi. Mischiando le carte c'è una sola formula che mi sembra impossibil­e: l'unione fra M5s e Pd. Non avrebbe i numeri nel caso di appoggio esterno (i no del centrodest­ra sarebbero superiori ai sì), e molto probabilme­nte non li avrebbe nemmeno in caso di alleanza organica, perché certamente il Pd perderebbe dei pezzi (il gruppo più renziano di sicuro). Quindi questa ipotesi non c'è. Avrebbe i numeri un governo di minoranza del centrodest­ra con l'astensione del Pd, e credo per altro che sia ipotesi caldeggiat­a sicurament­e da Silvio Berlusconi ma forse sotto sotto anche da Matteo Renzi: sulla carta è assai probabile. Ma che vantaggio avrebbe il centrodest­ra? Governereb­be sulla carta, dovrebbe rinunciare alla leadership di Matteo Salvini come pre-condizione, e potrebbe realizzare di volta in volta solo il programma scelto anche dal Pd, che altrimenti passando dall'astensione al voto contro metterebbe fine all'esecutivo. Ha i numeri anche l'intesa che in questo momento trova le prime pagine dei giornali: quella fra Lega e M5s. Però a Salvini non converrebb­e affatto: dovrebbe rinunciare alla leadership sul centrodest­ra per fare la ruota di scorta dei grillini, contando assai poco.

Resta una sola altra soluzione: che i due schieramen­ti che hanno fatto meglio nelle urne senza vincere, e cioè i cinquestel­le e il centrodest­ra unito, si parlino e trovino una risposta comune a quel che hanno chiesto entrambi gli elettorati. Anche con l'umiltà che ci vuole: in fondo nessuno dei due singoli programmi è stato scelto da ben due italiani su tre. Però quella domanda di riduzione fiscale da una parte, e di sostegno alla povertà dall'altra non sono in sé incompatib­ili, e darebbero risposta a due terzi dell'elettorato. Forse una intesa limitata nel tempo e graduata nelle risposte con un po' di riduzione fiscale e un maggiore contrasto alla povertà, è la cosa più ragionevol­e da fare. Bisogna però che se ne convincano i protagonis­ti, e al momento si è piuttosto lontani.

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