Un tram chiamato Camera dei deputati
▸ L’effetto immediato che la prima decisione del neo presidente della Camera ha sortito è stato - senza se e senza ma - la nostra miopia civica. Per chiunque, servirsi dei mezzi pubblici per raggiungere il proprio posto di lavoro, non soltanto è considerato di un’ovvietà disarmante, ma, soprattutto è incentivata da più parti per gli effetti benefici, di salute ed economici, sia individuali che collettivi.
Per lui no, è stata fonte di critiche, rimbrotti e motivo di scavare nei differenti passati utilizzi per raffrontarlo con quanto ha deciso di fare nella nuova veste. Va da sé che nel momento in cui trionfa una forza politica che non abbiamo votato, qualunque decisione questa assuma, ci fa storcere il naso. Come, al contrario, qualunque respiro del nostro beniamino, ci galvanizza. E’ umano. Civico un po’ meno. Che sia umano è giustificato dall’azione dei sentimenti che ci guidano nelle azioni quotidiane, votazioni elettorali comprese, ma il senso civico è tutt’altro. E’ quello che dovrebbe subentrare immediatamente all’uscita del seggio dove, per l’appunto, il sentimento che ha mosso la nostra mano nell’apporre il segno di croce sul simbolo prescelto deve lasciare il passo a quel senso che, inevitabilmente, diventa proprio di cittadino in quanto appartenente ad una collettività. Partecipare a una competizione elettorale, significa, inevitabilmente mettere in conto la vittoria di chi non avremmo mai votato e delle sue idee che non coincidono con le nostre.
È la democrazia. Per questo, di opportuno ci sarebbe la valutazione concreta di tutte quelle proposte che, in campagna elettorale, ci hanno letteralmente inondato ed hanno ora l’opportunità di tradursi in fatti. Se non per sposarne l’ideologia, e quindi cambiare opinione, quantomeno per valutare gli effetti benefici dei comportamenti fattivamente posti in atto. Basterebbe, egoisticamente, pensare che la funzione elettorale, indipendentemente se mortificata dalla sconfitta, si esaurisce con l’inserimento della scheda nell’urna, mentre il ruolo di cittadino è perenne e persistente, ma soprattutto irrinunciabile. All’uscita del seggio, smettiamo di essere elettori, altrettanto non avviene come cittadini. Per cui, se uno dei nuovi vertici dello Stato, per primo, dà prova che anche nel nostro Paese sono attuabili politiche e comportamenti usuali altrove, è fortemente miope non avvedersi degli indubbi vantaggi di cui possiamo godere, emulandolo e pretendendo che anche i restanti politici facciano altrettanto.
Oltre a essere contraddittorio, vista la sensibilità che manifestiamo ogni qual volta si parla di ambiente e salubrità dell’aria delle nostre città e/o di congestionamento del traffico, o peggio ancora, di inutili e dispendiosi privilegi.
Ben consapevoli, oltretutto, che quello della mobilità e del connesso ambiente è solo uno degli aspetti di cui la politica si dovrà occupare. Proprio da cittadini, infatti, ben sappiamo che i nostri cahiers de doléances, per quanto non scritti come quelli originali di Luigi XVI, sono ben carichi delle medesime critiche, lamentele e richieste da indirizzare ai nostri governanti.
Per cui, se una volta tanto che, nell’immediato, ci viene data la possibilità di verificare se i comportamenti posti in essere (che per ora sono l’utilizzo di mezzi pubblici e la rinuncia all’indennità) collimano con quanto abbiamo scritto e scriviamo nei nostri cahiers, non ne approfittiamo, l’unico effetto che ne deriva è l’abdicazione all’esercizio concreto di quella funzione di controllo che la Costituzione direttamente ci conferisce quale popolo amministrato. D’altronde, il neoeletto ha solo dato corpo al detto, ormai vetusto, che la moglie di Cesare non deve solo essere, ma anche apparire. E, con esso alla possibilità di riscontrare se il blu dell’auto di servizio resterà, nel tempo, sbiadito e recessivo rispetto al rosso di Atac e Frecciarossa. ◀