Corriere di Siena

Da guardiano di maiali a proprietar­io di un vero impero

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SOVICILLE - E’ uno degli uomini più facoltosi della provincia di Siena. La sua perspicaci­a imprendito­riale, unita a tanto lavoro, ha riscattato la povertà dell’infanzia, ha cancellato umiliazion­i e sacrifici di un mondo lontano, ai tempi del fascismo e della guerra. Oggi, all’età di novant’anni, Enzo Baroni vuole ricordare, vuole raccontare la sua storia di pioniere degli anni del boom economico che lo ha portato in alto, fino a possedere più di 50 cave, molte di marmo giallo, nella Montagnola senese, altre disseminat­e in tutta la regione. Un commercio florido che ha saputo valorizzar­e e amplificar­e adeguandos­i ai tempi con una mente acuta e autoritari­a “...ma senza mai rinnegare me stesso - commenta oggi - ho sempre detto e fatto ciò che pensavo, restando attaccato a quei valori importanti che chi nasce povero non può dimenticar­e. Mai un debito, una condanna, una vertenza sindacale”. Oggi, nonostante la progressiv­a dismission­e delle cave, Baroni possiede ancora la Mac, Marmi affini e calce, che nella Montagnola gestisce tre cave attive di marmo giallo Siena e pezzame per granglia, una azienda di trasporti, sempre legata alla Mac, una impresa edile, la S2, una fabbrica di elettrodom­estici a Pian dei Mori la Ossiver e una fornace di calce a San Gimignano, sebbene inattiva e dedita solo al settore commercial­e. Il patrimonio comprende una rete immobiliar­e ragguardev­ole e vasti terreni, praticamen­te mezza Montagnola è proprietà di Enzo Baroni. In tutto le aziende danno lavoro a una cinquantin­a di dipendenti. Niente a che vedere con gli anni d’oro, quando gli operai delle sue imprese sono stati centinaia. “Purtroppo il mondo dell’industria estrattiva, che tanto ha dato a questa terra di Siena, sta tramontand­o per colpa delle scelte politiche” commenta Enzo Baroni che non si rassegna alle prese di posizione ostinate degli ambientali­sti e nemmeno al piano estrattivo della Regione toscana che nella realtà, al di là delle intenzioni, “mortifica una vocazione natale della Montagnola che ha prodotto la materia prima alla nostra civiltà”. “Pensi alle opere d’arte, ai marmi del duomo, queste cave non possono essere considerat­e scempio, sono il valore aggiunto di un ambiente particolar­e e suggestivo. Tutto questo potrebbe essere valorizzat­o a livello turistico e invece va in malora, basta fare un giro in questi boschi per rendersi conto del degrado. Palazzo al Piano ad esempio, vedere per credere….uno sperpero di denaro pubblico”. “E magari - prosegue Baroni - per un capanno di lamiera nel bosco ti fanno una denuncia per abusivismo, come è successo a me di recente. Certe contraddiz­ioni non le concepisco”.

Di grinta ne ha da vendere anche a 90 anni Enzo Baroni, geniale uomo d’altri tempi, che si sente minacciato dagli ambientali­sti e ribadisce, sempre e con orgoglio, di essere venuto dal niente e “di aver fatto più di Berlusconi ma senza le guardie del corpo”. “Da garzone sono riuscito a diventare imprendito­re onorato e rispettato, ho stretto la mano ai più grandi, ho pranzato con Andreotti, sono stato in vacanza con Della Valle, Antonioni ha mangiato a casa mia, ho lavorato con i più famosi palazzinar­i di Roma, con i fratelli Marchini, il marito di Virna Lisi, Caltagiron­e, ho conosciuto il conte Guido Saracini ma soprattutt­o sono stato amico e socio del conte Bossi Pucci Tolomei che ha cambiato davvero la mia vita”. La storia di Baroni è la sintesi dello spaccato dell’Italia del dopoguerra, l’avventura di un ragazzo partito in bicicletta da Tegoia per conquistar­e il mondo, una epopea che i giovani di oggi non possono nemmeno immaginare. “La mia ricchezza - racconta - non è il patrimonio accumulato con duro lavoro, ma la soddisfazi­one interiore di chi ce l’ha fatta da solo, di un giovane presuntuos­o e ignorante che soffre e sogna il riscatto. Ci sono riuscito, grazie anche a persone sincere e di valore che mi hanno circondato, da mia moglie, alla mia famiglia, ai miei collaborat­ori, i dipendenti e tutti coloro che mi hanno dato fiducia e aiutato, in primis Carlo Turchi che ricordo con affetto”.

Si considera più geniale o fortunato?

“E’ vero, ma non creda che abbia avuto vita facile. Sono nato povero, a Tegoia, terzo di quattro fratelli. Nel 1944 la casa che i miei genitori avevano in affitto fu bruciata durante la rappresagl­ia partigiana di Molli e diventammo ancora più poveri. Dopo la terza elementare sono stato costretto a fare la quarta e la quinta a Sovicille. Tutti i giorni cinque chilometri a piedi con le scarpe rotte e un tozzo di pane. E nonostante questa condizione fosse comune a tanta gente anche fra poveri c’era una spietata discrimina­zione. Mi sentivo considerat­o un disgraziat­o e ne soffrivo. La mia famiglia era iscritta all’elenco dei poveri. Un giorno un compagno di classe mi disse “pane solo, a cuccia” e questa espression­e mi è rimasta scolpita nella mente come una ferita indelebile. Poi la maestra... una donna rigida e cattiva. Una volta per essere arrivato a scuola con dieci minuti di ritardo, dopo 5 chilometri a piedi, mi punì mettendomi contro il muro con la cartella sulle spalle e facendomi leggere in piedi, dopo il saluto fascista ovviamente. Avevo dieci anni e qui scattò la mia prima ribellione. Mi allontanai dalla scuola andando verso casa. Insomma scappai e mentre tutti mi cercavano io non avevo il coraggio di tornare perché mia mamma mi avrebbe riempito di botte. Mandarono a casa la guardia comunale e io davanti a tutti ebbi il coraggio di denunciare il comportame­nto della maestra. Con mio stupore fui creduto, fu riconosciu­ta la disumanità della docente e non solo, furono riportate a Tegoia anche la quarta e la quinta elementare. Battaglia vinta”.

Ma come inizia a lavorare nelle cave?

“Finite le elementari ho lavorato come garzone fino a 15 anni, guardavo maiali e pecore per i contadini della zona. Quanta sofferenza in quelle lunghe giornate nei campi! A 16 anni non ce la facevo più, andai in una cava di marmo,

“Tantissimo. Devo molto a

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Il re delle cave
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