Corriere di Siena

“Devo molto al conte Bossi Pucci Tolomei Fu tra i primi a credere in me”

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presi in affitto una discarica, ovvero un mucchio di residui scartati dalla lavorazion­e, misi in un tascapane che mi avevano regalato i soldati americani alcuni tozzetti di marmo giallo creando una sorta di campionari­o e con la bicicletta iniziai a girare per la provincia vendendo i frantumi a fabbriche e aziende edili per realizzare la graniglia con la macinazion­e. Era faticoso, lavoravo giorno e notte, ma ci fu il tempo per innamorarm­i di mia moglie che abitava nel portone accanto al mio. Ben presto ho allargato il numero dei clienti andando a vendere marmo per graniglia in tutta la Toscana, viaggiavo con il pullman che prendevo all’alba a San Domenico.

Per farla breve a 25 anni possedevo già 7/8 autotreni, mezzi meccanici per l’estrazione del marmo e diverse cave in affitto. Successiva­mente le ho comprate, tante: marmo, onice di Sant’Antimo, marmo bianco della porta santa a Caldana, ho avuto anche 50 cave ed una rete di vendita esagerata, in tutta Italia e all’estero, ci sono marmi venduti da me anche nella galleria Umberto I di Napoli. C’è stato un periodo in cui gli ordini superavano l’offerta, non mi bastava la materia prima. Poi ho diversific­ato l’attività, buttandomi nell’edilizia e nell’immobiliar­e”.

Cosa c’entra il conte Bossi Pucci Tolomei nella sua vita?

questo signore, che mi incuteva soggezione, ma alla fine ci sono diventato amico. Lui mi stimava. Fu attratto dal mio temperamen­to il giorno che l’ho conosciuto. Andai nella sua tenuta di Cerbaia a chiedergli se poteva affittarmi una delle tante cave disseminat­e nella sua proprietà. Il suo fattore si mise a ridere con atteggiame­nto di scherno, ma mentre il nobile si allontanav­a con coraggio mi permisi di insistere, rasentando l’insolenza, e dissi: “Signor conte cosa ci rimette lei a darmi una cava, io pagherò l’affitto”. Cambiò atteggiame­nto e chiese al fattore di accontenta­rmi. Fu l’inizio di un rapporto di stima e amicizia che mi portò a creare una società con lui per la produzione di graniglia”.

La collaboraz­ione durò a

“Fino a quando non mi propose di fare una società sulla gestione totale di tutti i suoi beni. Io risposi di no e il conte mi tolse le cave, ma ne avevo già altre e andai avanti lo stesso. Il rancore non durò a lungo perché quando il conte decise di vendere la tenuta di Cerbaia volle in tutti i modi che fossi io ad occuparmen­e. Mi dette una procura a vendere. Io ne acquistai una parte e gli vendetti gli immobili facendogli fare buoni affari. In seguito mi dette anche l’incarico di vendere i suoi palazzi romani... ma questa è un’altra storia”. ◀

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