Tira e molla, sospetti e vecchie gelosie Il Pd non cambia mai
Il Partito democratico è più diviso di quanto non sembri all’apparenza Sullo sfondo c’è sempre Renzi, “senatore semplice” in attesa di risorgere
▸ ROMA
(eli.gra.) Acque agitate in casa del Partito democratico, scisso in superficie tra chi predica l’Aventino e chi il dialogo, ma in realtà scosso nel profondo da quanti vorrebbero controllare gli equilibri interni al partito.
E’ chiaro tanto a Dario Franceschini quanto ad Andrea Orlando che Matteo Renzi tira ancora le fila dei Dem, avendo la maggioranza nei gruppi parlamentari di Camera e Senato. E il tira e molla fra le parti si giustifica anche alla luce dei reciproci sospetti. Da un lato i non renziani hanno subodorato il pensiero neanche troppo recondito del giglio magico: se Di Maio e Salvini dovessero fallire e ci fosse un richiamo alla responsabilità da parte del Colle, il centrodestra unito con l’appoggio esterno del Pd consentirebbe di dare avvio al governo. Magari con un premier che non sia Salvini. Circola il nome di Giancarlo Giorgetti, ma sono solo voci. Dall’altro, i renziani sanno che i contatti fra M5s e una parte del Pd ci sono e temono, all’inverso, che il partito si svenda per un piatto di lenticchie ai Cinquestelle. Maurizio Martina prova a richiamare all’ordine, chiede di finirla con i dibattiti sterili e di tornare al Paese reale.
Il punto interrogativo per ora è il Colle, in molti si preparano a un bis di consultazioni e si aspettano una cottura a fuoco lento. I renziani non fanno mistero di sperare in un governo tra i due “mezzi vincitori” (cit. Gianni Pittella) ovvero Salvini e Di Maio. Se questa intesa poi si andasse a schiantare, resterebbe il piano B, vale a dire l’appoggio esterno a un esecutivo di centrodestra. Le diverse minoranze del partito, invece, preferirebbero scongiurare “l’abbraccio tra lepenisti e grillini”, per dirla con l’ex Pd e ora LeU Roberto Speranza, e chiedono di tornare a riunirsi prima di salire al Quirinale. “Tatticismi”, sentenziano concordi Cesare Damiano e Teresa Bellanova, seppure da posizioni diverse. Per il primo è utile tornare a parlare di contenuti vale a dire di quel “dialogo doveroso” evocato da Andrea Orlando per permettere al Pd di entrare nella partita di governo. Anche se Damiano la vede più in chiave di un governo di tutti che non di un sostegno ai Cinquestelle. Il viceministro Bellanova, al contrario, richiama la decisione presa in direzione all’unanimità, eccetto l’ala che fa capo a Michele Emiliano, che ha optato per l’opposizione.
Stesso discorso del ministro Carlo Calenda a cui “sfugge la necessità di ridiscutere la linea decisa dalla direzione” e parla esplicitamente di autolesionismo. Anche il capogruppo dei deputati Graziano Delrio evidenzia come con il M5s ci siano “differenze programmatiche sostanziali”.
Posizione differente da quella di Francesco Boccia che non si dice sicuro di un’intesa M5s-Lega e chiede ai Dem di ascoltare il Movimento 5 stelle “senza spocchia”, senza fare i “duri e puri”. All’orizzonte, l’assemblea nazionale del Pd che cadrà dopo le consultazioni di Mattarella ed eleggerà forse un nuovo segretario traghettatore, prima dell’eventuale congresso con primarie. Contest a cui Delrio ha già detto non parteciperà. Fermo anche Matteo Renzi, che per ora farà il “senatore semplice” in attesa della riscossa. Smentita, secondo quanto riferiscono fonti interne, l’ipotesi della scissione dell’ala renziana dal resto del partito per fondare un movimento (“Avanti”) simile a En Marche di Macron. ◀