Rifugiati africani al Cum di San Massimo «Sono una ventina, emozionati e stanchi»
Il centro aveva ospitato negli anni 80 i «boat people» del Vietnam
VERONA L’ultima volta che quell’edificio aveva visto arrivare rifugiati era stato negli anni ’80, con l’arrivo dei «boat people» dal Vietnam. Anche quella volta fu un’emergenza umanitaria, ma la risposta fu globale. Adesso, con l’Italia che si trova ad essere nuovamente, ma da sola, territorio di frontiera, i religiosi e i laici del Cum, il Centro unitario missionario sono tornati a fare la loro parte: da due giorni a questa parte, accolgono una ventina di rifugiati.
Arrivano dal Camerun, dal Togo, dalla Nigeria e da altri Paesi dell’Africa subsahariana: sono stati sistemati al quarto piano del grande edificio che fa parte del complesso del Seminario maggiore di San Massimo.
Una soluzione che aiuterà, sia pure per una piccola frazione, a tamponare la richiesta di accoglienza che aumenta giorno dopo giorno. La Chiesa veronese si era già detta favorevole a mettere a disposizione alcuni locali. Un proposito che ha dovuto scontrarsi con la realtà dei fatti: molti degli edifici non sono stati giudicati a norma per ospitare gli alloggi. Tra le ipotesi c’era, per l’appunto, anche quella del seminario vero e proprio, bocciata dopo un sopralluogo dei vigili. La quadra è stata trovata grazie all’intermediazione della Caritas, il cui centro accoglienza «Il Samaritano» è già pieno da tempo. Anche se la diocesi c’entra fino a un certo punto: amministrativamente, infatti, l’edificio del Cum appartiene alla Conferenza Episcopale Italiana.
«Quando siamo stati contattati abbiamo detto subito di sì - spiega don Felice Tenero, vicedirettore del Cum veronese - era il minimo che potevamo fare, dato che siamo un centro missionario: anche se non possiamo andare oltre questo numero. Gli ospiti sono arrivati tra mercoledì e ieri (giovedì, ndr) visibilmente stanchi. C’è ancora qualche difficoltà a comunicare, ma presto conosceremo le loro storie». Ieri, per molti, la priorità è stata quella di connettersi a Skype, con un computer che è stato messo a loro disposizione. Per molti si è trattato del primo contatto con la famiglia dopo molto tempo.«Non sappiamo se siano riusciti a parlare con i familiari quando si trovavano in Libia - spiega un operatore che li segue - alcuni sono molto emozionati non appena sentono la voce dei genitori, dei fratelli o delle compagne, per altri sembra più ordinaria amministrazione».
Nell’ala che è stata loro destinata ci sono, oltre alle stanze e ai servizi igienici, anche un’aula con dei banchi di scuola. Servirà per le lezioni di italiano, che inizieranno già dai prossimi giorni. «Parlano quasi tutti inglese - prosegue don Tenero - oltre alle lezioni di lingua ci sarà spazio anche per l’insegnamento di educazione civica». L’intenzione degli operatori del Cum è anche quella di organizzare attività sociali nel pomeriggio. «Ci saranno uscite in città - spiegano - giusto che conoscano Verona e il territorio, anche parlando con persone al di fuori del centro». E, dato che lo scopo principale della struttura della Cei è quella di formare i futuri volontari non si sa mai che possano raccontare qualcosa, da testimoni diretti, di quanto succede nei loro paesi d’origine.
Un primo passo per l’integrazione, anche se il processo potrebbe essere lungo. Il riconoscimento dello status di rifugiati, infatti, richiede anche anni: alcuni degli ospiti del Samaritano stanno aspettando da oltre 24 mesi.