Centri commerciali in crisi. Esuberi e chiusure
La crisi iniziata con le aperture festive. Unioncamere: «Hanno fatto lievitare i costi»
VENEZIA La grande distribuzione arranca. Ironia della sorte, la crisi è iniziata con le aperture festive, che non hanno portato gli incassi sperati bensì costi alle stelle. Secondo Federdistribuzione l’utile netto è crollato e gli investimenti sono passati dai 4 miliardi del 2006 ai 2 del 2013. Ieri i lavoratori di Auchan di Padova, Mestre e Vicenza hanno scioperato contro i 141 esuberi annunciati dalla catena.
VENEZIA Ironia della sorte o legge del contrappasso. La crisi della grande distribuzione organizzata (GDO) è iniziata nel 2013, cioè a un anno dalla liberalizzazione degli orari dei negozi, sancita dal «Salva Italia». Una nuova frontiera del commercio fortemente voluta dalle grandi catene, firmatarie di una pioggia di ricorsi al Tar (in prima linea Auchan, Pam, Coin-Oviesse e La Rinascente) a sostegno del decreto Monti e contro la legge regionale e le ordinanze comunali che contingentavano le aperture domenicali. Il cavallo di Troia fu la vittoria del gruppo Bennet di Isola Rizza (Verona), che a gennaio 2012 aprì la strada alle vetrine illuminate 7 giorni su 7, anche a Natale, a Pasqua, il 25 aprile e il primo maggio. Una sciagura per i piccoli punti vendita, incapaci di reggere la concorrenza e quindi destinati a scomparire, gridarono subito le associazioni di categoria e i sindacati, non potendo immaginare quello che sarebbe successo a distanza di 12 mesi. Ovvero: secondo Federdistribuzione l’utile netto del fatturato della GDO è crollato dall’1,4% del 2010 al -0,1% del 2013 e gli investimenti sono passati dai 4 miliardi del 2006 ai 2 del 2013. Per il Veneto tutto ciò ha significato mille tra licenziamenti e contratti di solidarietà. Lo certifica l’interrogazione presentata il 16 luglio 2013 alla commissione europea dalla leghista Mara Bizzotto, che scriveva: «Negli ultimi sei mesi in Veneto Auchan, Carrefour, Mercatone Uno e Feltrinelli hanno avviato misure di licenziamento per più di mille dipendenti. Ad agosto l’Auchan di Mestre trasferirà quasi 300 dipendenti su 350, mentre 200 su 235 sono già stati spostati dal Carrefour di Marcon dopo una cassa integrazione in deroga a rotazione di 34 mesi e a Verona 172 su 210 sono in contratto di solidarietà al 12,75 %. Dal primo gennaio anche Carrefour ha stabilito il contratto di solidarietà per 400 lavoratori delle sedi di Marcon e Portogruaro e lo stesso ha deciso Feltrinelli per 105 dipendenti di 8 punti vendita tra Verona, Vicenza, Padova, Treviso e Venezia. Mercatone Uno ha previsto 66 esuberi, la chiusura dei tre store di Badia Polesine, Mogliano Veneto e Valli di Chioggia e la fine dei contratti di solidarietà in scadenza».
L’europarlamentare sottolineava che la nostra è la regione più colpita dalla crisi della grande distribuzione, perché registra il rapporto più alto d’Italia tra la stessa e la popolazione: 484,6 metri quadri per mille abitanti, rispetto ai 466,4 della Lombardia e ai 414,6 del Piemonte. E infatti, venendo ai giorni nostri, Federdistribuzione segnala in Veneto 4791 presidi della GDO, tra ipermercati, supermercati, discount, cash&carry, superstore, miniiper e distribuzione alimentare e non alimentare al dettaglio. Troppi. Risultato: la catena tedesca Billa, la prima a sdoganare anche le aperture notturne (fino alle 23), natalizie e pasquali, non ottenendo i risultati sperati ha ceduto a Conad, Carrefour e Alì i 50 supermercati del Nordest; Mercatone Uno è stato commissariato dal ministero dello Sviluppo economico perché la mancata ripresa delle vendite ha fatto fallire il piano di rientro; Auchan, costretto a rientrare di 50 milioni di euro, ha previsto 141 esuberi tra Mestre, Vicenza e Padova; Carrefour ne ha annunciati 52 a Marcon; la Metro di Mestre ha chiuso il piano dedicato al non alimentare. E secondo Federdistribuzione forse il peggio deve arrivare. «Siamo lontani da una strutturale ripresa, come testimoniano i dati sulla disoccupazione, in lieve rialzo nel mese di marzo e giunta al 13% — dice il presidente Giovanni Cobolli Gigli —. Bisogna aumentare il potere d’acquisto delle famiglie, ridurre la pressione fiscale sulle imprese e insistere sulle riforme economiche e istituzionali, senza introdurre freni allo sviluppo, come l’applicazione della clausola di salvaguardia sull’aumento dell’Iva».
Da gennaio il comparto ha perso un altro 2,1% di fatturato mentre, dice Unioncamere, gli ordini arrivano al -1,1% e i prezzi al -0,4%. «Ormai il mercato è saturo di centri commerciali, si fanno cannibalismo tra loro, anche perché dentro ci sono sempre le stesse catene — commenta Fernando Zilio, presidente di Unioncamere — ma i soldi in tasca alla gente sono sempre quelli e si spende poco. Per di più le aperture festive hanno fatto lievitare i costi in maniera esagerata e fa male pure la concorrenza dei discount (479 in Veneto, il 10% della GDO, ndr) e dei centri ingrosso cinesi». «Domani manderemo ai gruppi della GDO la richiesta di un incontro per la firma di un protocollo con la media e piccola distribuzione che riporti le aperture festive a 20 all’anno — rivela Maurizio Francescon di Confesercenti —. La crisi dei consumi costringe tutti a un passo indietro». Dal pianto corale si salvano le catene italiane Coop, Conad, Esselunga e Alì, che vanno bene perché, spiega Zilio, sono più radicate sul territorio, sanno intercettare meglio i reali bisogni locali e stanno riconvertendo i veneti alla qualità del made in Italy. In effetti il gruppo Alì, mentre altri chiudono e licenziano, apre in continuazione nuovi punti vendita (i prossimi a breve a Tezze sul Brenta e in provincia di Ferrara), ormai a quota 106, per un totale di 3200 dipendenti. «Il nostro segreto? — concede il vicepresidente Gianni Canella — Siamo un’azienda familiare, lavoriamo tutti giorno e notte, ci concentriamo sui supermercati senza investire in discount o cash&carry e formiamo il personale in modo che faccia sentire il cliente a casa. Cerchiamo di ricreare il rapporto con il vecchio casolino, che conosceva tutti, aveva sempre una parola per chi ne aveva bisogno, chiamava i clienti abituali per nome. E poi proponiamo prodotti di qualità a prezzi convenienti».
Federdistribuzione In due anni si sono persi quasi 2 punti di fatturato, sono stati dimezzati gli investimenti e la disoccupazione è salita al 13% di marzo
Confesercenti Spediremo ai gruppi l’invito a sottoscrivere un accordo con i piccoli negozi per riportare le aperture straordinarie a 20 all’anno
Alì Le catene italiane si salvano? Il nostro segreto è di far sentire a casa il cliente, di ricreare con lui il rapporto che c’era col vecchio casolino