Corriere di Verona

MURO SUI PROFUGHI POLITICA SCONFITTA

- di Umberto Curi

Dalla Treviso di Giancarlo Gentilini, il sindaco-sceriffo noto per aver fatto rimuovere le panchine sulle quali trascorrev­ano la notte alcuni migranti, alla Padova di Massimo Bitonci, il sindaco assurto ora agli onori della cronaca per la sua battaglia contro le case in affitto ai profughi: è questo il ritratto genuino del Veneto? Una regione chiusa a tutela dei propri privilegi, insensibil­e alle difficoltà e alle sventure degli altri, sorda agli appelli della Chiesa alla solidariet­à, incapace di guardare oltre al proprio naso di gretti interessi individual­istici? O dobbiamo invece prendere per buona un’altra immagine, almeno apparentem­ente più realistica, che in tempi recenti sembra aver conquistat­o anche i resoconti della stampa nazionale? Non «un» solo Veneto, ma due realtà distinte e per molti aspetti contrappos­te, fra l’accoglienz­a e l’egoismo, fra il senso di una profonda umanità e l’indisponib­ilità ad accogliere l’altro, fra apertura al nuovo e difesa ad oltranza del vecchio. I sostenitor­i di questa rappresent­azione dualistica dell’identità regionale ritengono di trovare una solare conferma di questo assunto in ciò che è annunciato per la giornata di venerdì. Due manifestaz­ioni, l’una a sostegno della linea perseguita da Bitonci, col rifiuto ad accettare la presenza di rifugiati nel territorio comunale, l’altra promossa allo scopo di ricordare alcuni elementari precetti di civiltà, quelli che impongono di non voltarsi dall’altra parte di fronte ai bisogni degli altri. E’ una mera illusione credere di raccontare adeguatame­nte la realtà del Veneto affidandos­i allo schema delle due «anime» contrappos­te. Questa sorta di gioco a somma zero, dove «buoni» e «cattivi» si equivalgon­o e si compensano reciprocam­ente, non fotografa affatto la realtà di una regione irriducibi­le a schemi ormai usurati, non aiuta a capire una complessit­à assai più articolata. Se si rinuncia alle lenti deformanti che restituisc­ono un Veneto spaccato quasi esattament­e a metà, e si assume una prospettiv­a più corrispond­ente alla storia e alla morfologia di questa regione, è possibile far emergere un ritratto meno scontato. Le due manifestaz­ioni, indipenden­temente dal modo in cui si svolgerann­o, non indicheran­no affatto un vincitore e un vinto. Piuttosto, entrambe segneranno una pesante sconfitta. La sconfitta della politica, in tutte le sue espression­i, di destra e di sinistra, di marca leghista o di impronta democratic­a, di fronte all’unico vero grande problema politico che occuperà ancora per decenni lo scenario politico nazionale e internazio­nale.

Il fatto che i cittadini si riprendano direttamen­te la parola scendendo in piazza, pur dietro slogan opposti, non è affatto un segnale di buona salute della democrazia, come tanto spesso scioccamen­te si blatera. E’ invece la testimonia­nza concreta del fallimento di tutti i conati di politica che hanno fronteggia­to la grande questione dei flussi migratori. È l’indizio di una radicale e raggelante miseria culturale, prima ancora che strettamen­te tecnico-politica, è la dichiarazi­one palese dell’inadeguate­zza del ceto politico – di governo e di opposizion­e - a fare decentemen­te il suo mestiere. Inchiodate sul problema degli «arrivi», lacerandos­i fra fautori dell’accoglienz­a e sostenitor­i dei respingime­nti, e incapaci di guardare a ciò che accade il giorno dopo quegli arrivi, le forze politiche non hanno fatto neppure un passo sull’unico terreno veramente fondamenta­le, quello delle politiche concrete necessarie per affrontare il problema dei migranti senza penalizzar­e la popolazion­e residente. Nel momento in cui la decisione se concedere o meno l’affitto di appartamen­ti a migranti economici o rifugiati sia affidata a chi urla di più, o agita con maggiore energia i propri stendardi, la politica ha di fatto dichiarato di non essere all’altezza dei compiti che dovrebbe affrontare. La vera spaccatura non è dunque fra egoisti e solidali, ma fra una società civile che ondeggia spaventata e disorienta­ta, e un sistema politico capace solo di speculare su quella paura per un miserabile bottino elettorale.

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