Corriere di Verona

Lo scudetto dei provincial­i al potere per la prima (e unica) volta

La certezza del tricolore il 12 maggio 1985 a Bergamo

- Matteo Fontana

C’è chi li ha descritti alla maniera dei cavalieri medievali: coraggiosi e franchi, come degli Artù e dei Lancillott­o, dei Parsifal scesi da Camelot. Oppure, entrando nel campo mistico, li ha raccontati come fossero stati apostoli per cui non è mai arrivato il giorno dell’ultima cena. In missione per lo scudetto, quello che il Verona conquistò, con l’avallo della matematica, il 12 maggio 1985, con l’1-1 di Bergamo con l’Atalanta, il gol di Preben Elkjaer a replicare a Perico e a sigillare il trionfo di una squadra leggendari­a e l’apoteosi di un’intera città. Sono passati trent’anni da allora: «Il ricordo migliore che ho? Penso che se abbiamo vinto lo scudetto bisogna ringraziar­e lo spogliatoi­o: loro andavano d’accordo», dice Osvaldo Bagnoli, intervenen­do a Radio Uno. Lui, il demiurgo laborioso, con il profilo aguzzo e la casquette da proletario sempre in testa, che votava socialista per tradizione di famiglia, con le radici operaie affondate alla Bovisa, quartiere popolare di Milano, l’allenatore più grande e irraggiung­ibile della storia dell’Hellas, lo Schopenhau­er, per la sua aria riflessiva, narrato da Gianni Brera. L’uomo che costruì quel Verona, e che ora, lasciato il calcio nel 1994, quando avrebbe potuto proseguire in una carriera remunerati­va, vive a Verona facendo il pensionato, il marito, il babbo e il nonno.

I suoi «figli», quelli gialloblù, quelli della cavalcata verso il titolo, pure loro non hanno, perlopiù, a che vedere con il pallone, almeno direttamen­te. In panchina ci va Giuseppe Galderisi, che ha guidato, questa stagione, da subentrato, la Lucchese, in Lega Pro: «Sarà difficilis­simo ripetere un’impresa del genere, sono cambiati i tempi, ma sarebbe bello rivedere un altro Verona che prende applausi dovunque», spiega lui, il Nanu, Pollicino che andava alla guerra con gli stopper truci che ti saettavano sulle caviglie, il «piccolo» di un attacco in cui spiccava, poi, la potenza deflagrant­e di Preben Elkjaer, che fa il commentato­re tv in Danimarca. All’Hellas, Cavallo Pazzo, c’era arrivato dai belgi del Lokeren, nell’estate del 1984. A «La Repubblica», ha raccontato: «Cos’era lo scudetto quando sono arrivato? Una parola. Una cosa lontana. Ci sentivamo forti, ma eravamo convinti che per lo scudetto servisse qualcosa di più. Avevate il campionato più bello del mondo. Io volevo accertarmi d’essere all’altezza, ma non ho mai avuto paura. Sarei stato felice anche di arrivare quarto». Con lui, l’altro straniero, Hans Peter-Briegel: fa il testimonia­l del Totocalcio tedesco, adesso, e che veniva dalla Germania Ovest, perché al tempo il muro di Berlino c’era ancora e nessuno immaginava che sarebbe crollato. Per tutti e due il volo con il Verona fu il picco, quanto ad allori, di un’intera carriera. Ma, in realtà, è stato così per tutto quel gruppo, e l’unica eccezione c’è da farla per Claudio Garella, il portiere naïf che parava con qualsiasi parte del corpo, e di cui Gianni Agnelli, l’Avvocato, disse che, in quel ruolo, era il migliore senza le mani. Sfidava la forza di gravità, e vinse lo scudetto anche con il Napoli di Diego Maradona, nel 1987. Ora è il direttore generale dell’Usd Barracuda, un club dilettanti­stico di Torino. Il suo «secondo», Sergio Spuri, in campo negli ultimi minuti a Bergamo, i portieri ora li prepara, in Serie D, al Fano.

Il mitico capitano, l’olimpico libero del Verona, Roberto Tricella, lavora nel settore immobiliar­e, è tornato a Cernusco sul Naviglio, dov’è nato: « Non smetto di sorprender­mi dell’affetto che ha la gente nei nostri confronti. E provo un immenso orgoglio per la nostra storia», le sue parole, il sorriso a tracolla che rimane, l’imitazione di Jerry Lewis, fatta in Piazza Bra la sera della grande festa di Verona, il 19 maggio, dopo il 4-2 all’Avellino che chiuse il campionato, che è un’icona generazion­ale. In quella difesa, a marcare c’era Mauro Ferroni, che fa l’imprendito­re edile e che, dagli apostoli, si è staccato, ma non come un Giuda – in questa storia non ce ne sono: tutti santi, senza voler cadere nella facile irriverenz­a –, ma perché la vita l’ha portato verso altre scelte. E Silvano Fontolan, lo stopper, il baffo da cowboy, la Quercia di Garbagnate, è il responsabi­le del settore giovanile del Como. Sulla fascia sinistra correva coi polmoni a mantice Luciano Marangon, la fama di sciupafemm­ine, ma che poi non ha mai saltato nemmeno l’allenament­o più mattiniero, che vive a Ibiza gestendo un ristorante italiano. Domenico Volpati, il dottor Gerovital, il jolly, dentista a Cava-

Bagnoli Se abbiamo vinto bisogna ringraziar­e lo spogliatoi­o: andavano tutti d’accordo

lese, lo specchio di Bagnoli, che l’aveva già avuto alla Solbiatese e proprio a Como, racconta: «In Serie A c’erano i più grandi campioni al mondo. Ogni domenica dovevamo affrontare dei fuoriclass­e. Bagnoli ha la saggezza delle persone semplici. Non aveva bisogno di parlare tanto perché già sapevamo quello che ci voleva dire e quello che voleva fare». L’Osvaldo: basta dire il suo nome, a Verona, e non c’è bisogno di aggiungere il cognome. Piero Fanna, commentato­re per la radio ufficiale dell’Hellas, aggiunge: «Di scudetti ne ho vinti altri quattro, ma Verona è stato il punto più alto per me, da giocatore. Perché Bagnoli, con me e con il resto della squadra, ha fatto come chi fa uscire gli uccelli dalla gabbia. Ci ha liberati, la sua mentalità ci ha permesso di diventare forti. Rischiavam­o sempre, eravamo come dei condor».

Antonio Di Gennaro, ora voce tecnica di Mediaset, splendido regista del Verona più bello, osserva: «L’alchimia la creò Bagnoli: ognuno di noi era collocato al posto giusto, ci ha permesso di credere in noi stessi, e per questo abbiamo reso come mai era accaduto altrove. E anche chi giocava meno era importante».

Gli altri, già: c’era Gigi Sacchetti, tessitore inesauribi­le in mediana, che fa l’assicurato­re. Il fosforo di Luciano Bruni, piedi mignon e zazzera che non c’è più, e che allena la Primavera del Livorno. L’altro Marangon, Fabio, fratello di Luciano, che è proprietar­io di alcuni negozi di abbigliame­nto a Sanremo. Dario Donà, imprendito­re. Franco Turchetta, antidivo che ha aperto dei centri benessere in Romagna. Quanti sono? Ne abbiamo contati diciassett­e. E con questi Osvaldo Bagnoli ha cambiato la storia da qui all’eternità.

Tricella Non smette di sorprender­mi l’affetto della gente: provo ancora un immenso orgoglio

Fanna Bagnoli ci fece sentire uccelli fuori dalla gabbia Vinsi di nuovo, ma Verona fu il mio picco

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 ??  ?? A Bergamo il sogno di venta realtà La festa dopo l’1-1 con l’Atalanta, che dà la certezza matematica dello scudetto
A Bergamo il sogno di venta realtà La festa dopo l’1-1 con l’Atalanta, che dà la certezza matematica dello scudetto
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 ??  ?? Ieri e oggi In alto, da sinistra, la festa dei tifosi per lo scudetto e la squadra Campione d’Italia. Qui sopra, Elkjaer e Briegel oggi e, sotto, quando arrivarono al Verona
Ieri e oggi In alto, da sinistra, la festa dei tifosi per lo scudetto e la squadra Campione d’Italia. Qui sopra, Elkjaer e Briegel oggi e, sotto, quando arrivarono al Verona

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