IL RACCONTO DEL SOGNO REALIZZATO
Il 12 maggio 1985: il giorno in cui si realizzarono i sogni. Era la penultima giornata del campionato. A rievocarne oggi le tappe, vien da chiedersi se davvero le abbiamo vissute, o non si tratti solo di un dolce ricordo un po’ sfumato, come certi episodi della fanciullezza che si rievocano puntualmente in famiglia a Natale, con l’aggiunta ogni anno di particolari nuovi, e ormai non si sa più se sono accaduti realmente o se ce li siamo costruiti nella mente da noi, anno dopo anno, ripescando sensazioni lontane. Ma sugli almanacchi del calcio tutto risulta scritto ben chiaro, quindi dev’essere accaduto davvero…anche se il sapore della favola è alimentato dalle migliaia di bambini veronesi che da generazioni , dopo a ve rne s ent i to raccontare, ogni tanto invocano: « Dai, papà, contemela ancora ».
Da Verona partì quel mattino una sorta di esodo festoso, con una fila interminabile di pullman e auto cariche di speranze e di trepidazione febbrile. Era diventata una consuetudine, quell’anno, ritrovarsi tutti insieme lungo le strade delle trasferte, sventolando sciarpe dai finestrini e scambiando complici botti di clacson con le mille auto targate VR che ci affiancavano nella corsa. Giunti a destinazione, i pullman si disponevano in cerchio o affiancati nei piazzali adiacenti allo stadio di turno, creando festosi accampamenti e facendo apparire dal nulla colorati bivacchi. Dai portelloni uscivano come per incanto marmitte, pentoloni, lunghe tavolate sostenute da agili cavalletti, e poi damigiane, fiaschi, salami, sacchi di pane. Cuochi improvvisati dal cappellino gialloblù si immergevano ridenti nel fumo delle pentole, mescolavano di gran lena risotti al tastasal, affettavano soffici mortadelle, affondavano rosei cotechini in bollenti ondate di pearà. A Bergamo quel giorno pioveva a dirotto, ma il calore era quello del sole cocente. In piazza Bra, come da tempo avveniva ogni domenica, migliaia di ombrelli nascondevano tanti cuori in ansia con lo sguardo rivolto ad un nuovo storico ma più fortunato balcone, in trepida attesa, dalla mia voce amplificata, dell’annuncio della vittoria. L’Atalanta andò in vantaggio sul finire del primo tempo con un colpo di testa di Perico. Il cuore di tanti si fermò per un brevissimo istante, ma quanta fiducia avevamo in quei ragazzi sul campo con cui avevamo condiviso i nostri sogni. All’inizio della ripresa, in mischia pareggiò Preben, subito sommerso dagli abbracci dei compagni. Il cuore prese a battere più forte. Aspettammo il novantesimo in un clima rarefatto e un po’ irreale, ma felicità e commozione già covavano dentro noi tutti, e ne avvertivamo il caldo tepore farsi largo fra brividi sottili. Poi ci fu il fischio finale. “Campioni campioni campioni campioni campioni!...” gridai mille volte al microfono. Baci, abbracci, stupore attonito, felice smarrimento, voglia matta di fermare l’attimo fuggente si mescolarono d’incanto in tifosi e giocatori, insieme a Bergamo e a Verona, dove i mille e mille ombrelli si levarono al cielo rivelando sciarpe e bandiere. Negli spogliatoi, spruzzi festosi di champagne si confusero in fretta con l’acqua delle docce, il sudore e le lacrime. La lunga fila di auto e di pullman tornò a muoversi verso Verona. Ci accolsero lungo la via avamposti di tifosi, accorsi a sventolare le loro bandiere sui ponti dell’autostrada. Piazza Bra era stipata di gente e festeggiò chiassosamente fino a mezzanotte. Poi Verona andò a dormire, e riprese l’indomani i suoi ritmi tranquilli, conservando quasi in silenzio, per sei giorni ancora, la gioia intensa d’aver vissuto realmente l’avverarsi di un sogno. Sembrava quasi che tutti volessero tenere ancora un po’ nascosta dentro se stessi la felicità del momento, per poter poi lasciarla esplodere la domenica successiva: allo stadio, lungo i vicoli e le strade, e poi in Piazza Bra in un tripudio di bandiere e di canti. In mezzo a loro gironzolava tranquillo Bagnoli con le mani in tasca, finché non gli chiesi, sul palco, di regalarci la grazia di un aperto sorriso. Egli rise di gusto e urlò nel microfono «Siamo campioni!». I giocatori lo ripresero in braccio, e la città esplose nel suo grido più alto.