In tremila al raduno techno «Non ci facciamo uccidere»
BELLUNO «Sonica festival»: nulla di scontato. Dallo scrupoloso direttore di banca che per qualche giorno si spoglia di camicia e cravatta e sceglie le insolite vacanze da trascorrere con moglie e figli piccoli su un prato sotto le montagne, alla professionista del sud Italia, una irriducibile dei rave, che ne ha collezionati a decine a partire da quello di Napoli del 1992, che si è data appuntamento con gli amici stranieri e si è accampata in una delle circa quattrocento tende che colorano la grande distesa verde a Modolo, a due passi da Belluno. Per far parte del mega evento di musica techno, della kermesse internazionale (gli organizzatori continuano a dire: «Non chiamatelo rave»), che ha innescato anche qualche polemica in città ( il sindaco di Belluno Jacopo Massaro ha promesso controlli: «Abbiamo interessato anche l’Arpav per la misurazione dei decibel»). Ma soprattutto per stare in compagnia, bere (l’alcol supera i serratissimi controlli agli ingressi solo in quantità adeguate e se in lattina e bottiglia ma assolutamente non di vetro). E, perché no, per sballarsi. Perché, nessuno lo nasconde, c’è anche droga.
«Ma è qui come ovunque, almeno noi la consumiamo da responsabili - fanno sapere alcuni partecipanti - mica come i ragazzini di oggi che muoiono perché non sanno che il mix droga alcol può risultare letale. Quello che manca è l’informazione». Ed ancora: «Bisogna preferire le droghe naturali, quelle sintetiche sono rischiose oggi, e io non me la sento di rischiare». All’evento di Modolo, dove è tutto nel rispetto della natura, con raccolta dei rifiuti rigorosamente differenziata e tanto di provetta in cui raccogliere i mozziconi di sigaretta, dove gli stand offrono cibo vegano e infusi di benessere, di ragazzini ce ne sono, e ne arriveranno ancora, assieme a gente di ogni età: ne sono previsti almeno tremila, da varie parti d’Italia e d’Europa, per i cinque giorni del festival, «un viaggio attraverso la musica - scrivono gli organizzatori - un flusso armonico di energia che è allineato con il bioritmo universale».
Un invito che hanno colto in molti, dall’Italia, Austria, Francia, Germania, ed ancora Malta e Ungheria: chi è arrivato in camper, chi in auto, chi ancora con i vecchi furgoncini colorati stile «figli dei fiori». Chi, ancora, carico di zaini, borse, scatoloni con sacchi di pasta e bibite, fornelletti da campo e gruppi elettrogeni, dopo essere passato per la cassa, a pagare il biglietto (agli ingressi si possono acquistare solo biglietti interi a 110 euro) affronta l’ultimo tratto in trattore. Sono per lo più giovani, gruppi di amici, ma non solo. Al centro dell’area una sorta di palco orizzontale, dove la musica «pompa» senza sosta, fino a notte fonda. Ragazzine con reggiseno e short, piercing e capelli fluo, che raccontano «sono qui con papà, siamo diverse famiglie, genitori e bambini. Cosa c’è da stupirsi?», risponde una diciassettenne del posto. «Io e mia moglie ci siamo stufati delle solite vacanze sotto l’ombrellone, questa al festival sarà la mia vacanza», racconta Luca, operaio di Ravenna, con un carico di zaini al seguito. Lei, 34 anni, con un grow shop (commercia semi di canapa) racconta di aver trovato quasi per caso il biglietto che pubblicizzava l’evento a Belluno e di sentirsi un po’ fuori età.
Ma si sbaglia. Sotto la tenda in cui si balla, al ritmo di musica techno a tratti orientaleggiante, capelli a rasta e cani al seguito, c’è anche una mamma del centro Italia, quarantuno anni, istruttrice di nuoto di lavoro, con i bimbi di otto e nove anni. «Siamo già stati al rave di Avellino, l’altro anno, e abbiamo deciso di provare di nuovo: mio marito, direttore di supermercato, si rilassa e beve birra, io lo stesso ma preferisco qualche tiro di canna, e quanto ai miei figli sono contenti, qui socializzano con gli altri bambini», spiega mentre guarda, sotto la struttura di legno e tendoni colorati decine di persone ballare e poco distante dal mercatino in cui si trovano pure sciroppi di erbe made in San Pietro di Cadore. «Qui siamo tutti allegrotti ma non arriviamo a farci del male come al rave, l’evento è diluito in cinque giorni». E poi c’è lei, cinquantenne disegnatrice di abbigliamento per bambini. Che ha a cuore le nuove generazioni. «Chiudere le discoteche non serve affatto, i ragazzi troveranno altri spazi in cui consumare droga, nemmeno proibire serve a nulla - dichiara la donna del sud Italia - il problema è che i ragazzi non sono informati dei rischi, la verità è che dobbiamo dar loro qualcosa in cui credere».
Una giovane Qui siamo “alticci” ma nessuno si fa male come altrove Un padre Chiudere le discoteche non serve, i giovani trovano altrove lo sballo