Corriere di Verona

Dalla Vecchia capitano per sempre

La Scaligera Basket ritirerà la maglia numero 9. Lui: «Un’avventura da brividi»

- di Matteo Sorio

VERONA «Era il 1983. La “bella” per salire in A2. Noi contro il Porto San Giorgio. Si giocava a San Giovanni Lupatoto. In gara 1, i loro tifosi s’erano piazzati dietro il canestro e lo scuotevano come dannati per farci sbagliare. Vincemmo, alla fine, e festeggiam­mo in piazza San Zeno sino alle 4 di mattina». Riquadro: 1981-1999. L’epoca gialloblù di Roberto Dalla Vecchia. Vicentino adottato da Verona, ex capitano e ala grande: 385 partite con la Scaligera Basket, sue le braccia che hanno sollevato Coppa Italia (’91), Supercoppa Italiana (’ 96) e Coppa Korac (’98). Oggi l’anagrafe dice 51, il tempo speso tra il centro estetico in Borgo Nuovo (gestito con la moglie) e i camp estivi per giovani promesse del parquet.

La notizia, Dalla Vecchia, è che il 9 settembre, al Memorial Mario Vicenzi, la Scaligera ritirerà la sua canotta numero 9...

«Quando me l’hanno detto ho avuto un brivido. La Scaligera mi ha dato tanto, e penso di aver contraccam­biato. Il 9 è il mio giorno di nascita, agli albori feci anticamera perché ce

l’aveva Gregorat, così partii dal 6 e aspettai che si liberasse. Verona è stata, ed è, la mia casa. Sempre giocato per la maglia, mai per soldi o fama. Il “Memorial Vicenzi”, poi, è un momento speciale...».

Parliamo di Mario Vicenzi, 1934-2006, storico vicepresid­ente e co-proprietar­io.

«Fu il mio “papà”. Ricordo che per aiutarmi a rinviare il militare mi assunse in fabbrica: alle 9 mi convocava nel suo ufficio, leggevamo i giornali insieme, poi mi portava in città a fare un giro. Una volta, al momento del contratto, chiesi: “Proprio non potete darmi qualcosina in più?”. Appena lo seppe, Vicenzi corse al campo e mi prese da parte: “Dimmi quant’è la differenza e ce la metto io”».

Come comincia la sua storia in gialloblù?

«Anno 1981. Il ds Torresani bussò direttamen­te alla mia porta, nel Vicentino. “Vieni da noi, a provare, qualche giorno...”. Era la Vicenzi Biscotti. Alloggiavo nella foresteria della società, zona Tombetta. Non facile, dapprima. Giovane, timido, mi sfottevano per la cadenza

vicentina. A volte, per le cene di gruppo, dovevo farmi da Borgo Roma in centro a piedi perché, fatalità, nessuno aveva posto in macchina. Quei momenti m’hanno fortificat­o. Dopodiché mi sono guadagnato il rispetto di tutti col sacrificio. E alla fine ho fatto la mia strada...».

Maestri?

«Il primo fu Filippo Taccola, pivot, l’uomo d’esperienza. Finito l’allenament­o, in Basso Acquar, mi urlava dietro: “Biondo, vieni qua!”. Gli facevo da difensore, è così che ho imparato i trucchi del mestiere. Quindi gli allenatori: Giorgio Maggi, Bruno Arrigoni, Silvio Bertacchi, Dado Lombardi, Franco Marcellett­i… ognuno è stato un mattoncino d’esperienza. Per mentalità nel lavoro, Marcellett­i sta al basket come Zeman al calcio: ti massacrava, ma capivi che era il sistema giusto per spingerti oltre i limiti».

Lei ha visto la Verona del basket diventare adulta…

«Una volta promossi in A2 giocammo le gare interne in un capannone di Padova, freddissim­o e ostile. Prima svolta con lo sponsor Citrosil e il trasferime­nto

al Coni. La seconda col PalaOlimpi­a, nel 1987. Eravamo preoccupat­i, al Coni ci stavano 700 persone, lì 4500. Ma la città diede una grande risposta».

Il quintetto più forte di sempre ?

«Sulla carta quello di A2 con cui conquistam­mo la storica Coppa Italia, in panchina Alberto Bucci. Come espression­e di gioco, direi la Glaxo di Williams, Gray, Bonora, Boni e il sottoscrit­to. Non fosse stato per certi guai fisici, si poteva mirare allo scudetto»

Tre partite del cuore?

«La finale di Korac a Belgrado. Quella di Coppa Italia a Bologna. E i 32 punti contro la Fortitudo, nei playoff del 1995, con 9/9 da due e 4/5 da tre».

E lo sketch di sempre?

«Ritiro estivo del 1988. Arriviamo in albergo. Uno dei nostri, Righetti, si siede fuori, sulla sdraio. Sotto il suo peso, quella si chiude a metà e lui rimane incastrato, con le dita fra le assi. Passò 5-6 giorni con le mani fasciate. Lombardi voleva rimandarlo a casa. A un passo dall’infortunio più assurdo del mondo...»

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Impresa europea Dalla Vecchia solleva la Korac ‘98 a Belgrado

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