Mose, i subappalti finiscono in procura
Mose, il ruolo dei subappalti finisce sul tavolo dei pm. A inviare diverse informative i commissari che vigilano sulla grande opera.
Sono rimasti sorpresi più dall’eco tardiva sulla stampa che non dalla rottura del cassone di soglia posato alla barriera di Chioggia che lo scorso ottobre si era lesionato durante il pompaggio del calcestruzzo, i commissari del Consorzio Venezia Luigi Magistro, Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo. Che sui lavori del Mose ne hanno viste molte, tanto da inviare in otto mesi numerose segnalazioni alla Procura per il sistema dei subappalti. E oggi sono preoccupati sulla tenuta del Mose alla fine dei lavori: «È mancata una regia tecnica comune e stiamo studiando come avviare un pre-esercizio prima ancora che tutti i cantieri delle barriere mobili contro le acque alte siano completati», spiega il giurista Fiengo, nominato commissario a maggio per risolvere una lunga serie di questioni giuridiche legate alla ragione d’essere del Consorzio, concessionario senza appalto e creatura giuridica dall’incerta natura.
L’incidente di Chioggia è stato considerato risolvibile in fase di cantiere. È accaduto a ottobre durante la posa del penultimo cassone di soglia, l’allora presidente deI Cvn Mauro Fabris non aveva avvertito l’opinione pubblica e a marzo i commissari avevano informato il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone e il prefetto di Roma. Ogni cassone è un colosso lungo 60 metri, largo 46, alto 11, pesante 20mila e 400 tonnellate, diviso internamente in 220 celle da riempire di calcestruzzo per l’ancoraggio al fondale prima di avvitarvi le paratie mobili del Mose. Una valvola difettosa aveva trasformato il riempimento delle celle del penultimo cassone di Chioggia in un mezzo disastro perché il cemento pompato per zavorrare il cassone ha rotto le celle ed è finito in mare. Un errore da 12 milioni di euro causato dal malfunzionamento accidentale di una valvola che probabilmente sarà liquidato dall’assicurazione della Clodia di Chioggia.
Per i commissari l’incidente in fase di cantiere è stato un intoppo tecnico. La loro principale preoccupazione è, invece, che il sistema del Mose riesca a funzionare dopo, quando tutti i lavori saranno ultimati e nulla potrà più essere corretto in corso d’opera.
« Stiamo seriamente studiando la possibilità di iniziare la fase di avviamento, di pre-esercizio, prima ancora che tutti i lavori delle barriere mobili contro le acque alte siano completati», spiega Fiengo.
I filoni di verifica dei commissari sono molti, due i principali: il ruolo dei subappalti e l’effettiva efficacia delle dighe mobili per la difesa di Venezia dall’acqua alta. «Abbiamo segnalato alla Procura varie situazioni dubbie – racconta Fiengo – E ultimamente ho detto no ad un subappalto che non era adeguatamente e sufficientemente motivato». Per legge il subappalto deve avere un perché. Una valida motivazione, ad esempio, è che l’impresa abbia un know-how tecnico più avanzato di quello di chi ha vinto l’appalto. Ma finora i commissari hanno trovato scarsa traccia di queste motivazioni e ogni volta hanno stoppato tutto e segnalato alla procura.
Il timore principale dei commissari è che, alla prova del nove delle barriere mobili, l’ingranaggio complessivo si inceppi. «Tra i nostri compiti c’è quello di assicurare che l’investimento dello Stato vada a buon fine – spiega Fiengo - È un’importante riflessione quella sulla frantumazione degli appalti e la mancanza di una comune regìa. Non è una critica. Ma uno scrupolo su un sistema costruito per ingranaggi separati: se non si incastrano, salta tutto. Anche per questo stiamo studiando un sistema di pre-esercizio del Mose che parta prima dell’ultimazione dell’intero sistema».