Emergenza migranti, la catastrofe incompresa
Lungo tutto questo periodo, i flussi si sono caratterizzati per la loro regolarità. Persistendo sostanzialmente invariato il grande serbatoio dell’Africa subsahariana, abbiamo assistito a fasi successive di provenienza da aree diverse dell’emisfero settentrionale. Prima dal Maghreb, poi dall’Albania, poi dall’Europa centrale, ora dal vicino Oriente. Sebbene ovviamente non programmati, questi movimenti obbedivano ad una sorta di implicita «razionalità», come espressione di esigenze di riequilibrio complessivo, secondo il principio dei vasi comunicanti. Il crearsi di alcuni «vuoti» (di risorse, di possibilità di sopravvivenza, ecc.) induceva a spostamenti pressoché automatici, o comunque spontanei, verso le aree europee che avevano la possibilità di assorbire una quota considerevole di ingressi. Rispetto a questo quadro generale, gli avvenimenti delle ultime settimane si costituiscono come una netta discontinuità, per l’appunto come una «catastrofe». La mancata soluzione delle carenze strutturali di tanti Paesi africani, abbandonati colpevolmente al loro destino di sottosviluppo, si è andata sommando ad un fenomeno ignorato o frainteso dagli analisti, vale a dire la trasformazione di tutto il Medio Oriente in un teatro di guerra permanente. Di qui una pressione migratoria formidabile, non più, come in passato, verso mete più o meno «mirate» e selezionate, ma verso l’Europa in quanto tale. Di qui, appunto, la trasformazione della quantità in qualità, il farsi presente di una radicale discontinuità, capace di immettere ad una fase sostanzialmente nuova. Masse sempre più consistenti di individui mettono in discussione ciò che per decenni l’Europa ha considerato fuori questione, vale a dire il diritto del Vecchio Continente a non essere direttamente coinvolto nei processi di trasformazione in corso a sud del Mediterraneo. Quale inevitabile – ancorchè imprevisto – contraccolpo del processo di globalizzazione, centinaia di migliaia di individui manifestano concretamente l’evanescenza di ogni astratto confine nazionale e si propongono nel loro insieme come forza d’urto capace di spazzare via l’ atteggiamento di opportunistico, ma anche ottuso, agnosticismo che l’Europa si è illusa di poter assumere nei confronti delle dinamiche politiche ed economiche dell’Africa e del Medio Oriente. Ciò che servirebbe è uno sforzo di riorientamento complessivo delle politiche europee alla prova delle novità che stanno ora emergendo. Con la consapevolezza di essere in presenza di una fase di trasformazione giunta oltre il punto di non ritorno.