La violenza sulle donne spiegata ai detenuti
Incontro in carcere, Della Rocca: «Bisogna coinvolgere anche gli uomini nel dibattito»
Fine della situazione emergenziale. Ormai i dati ci dicono che la violenza sulle donne ha numeri strutturali, e come tale, questo fenomeno, va trattato. Anche in carcere.
Questa l’idea, a suo modo assai coraggiosa, dell’incontro voluto dal dirigente della Squadra Mobile di Verona, Roberto Della Rocca e dalle responsabili della cooperativa sociale Bee Free, Oria Gargano e Loretta Bondi: parlare di violenza di genere tra persone che più vi sono esposte, per averla subita o per averla recata. «Nascondere le cose non serve a niente – ha anticipato Maria Grazia Bregoli, direttrice del carcere di Montorio – anzi occorre parlarne, perché incontri come questo servono anche ai carcerati come momento di riflessione: sono strumenti per rivedere la propria posizione, per cambiare. Ed è questo uno degli obiettivi del carcere».
Si riparta dai dati quindi. A livello europeo, non solo italiano, i numeri dicono che una donna su tre ha sperimentato violenza di genere. «Che non significa solo violenza fisica – specifica Oria Gargano, presidente di Bee Free – ma anche violenza psicologica, economica, spirituale o sessuale». Da lì si passa ai maltrattamenti che, in media in Italia, vengono denunciati solo nel 7% dei casi: quello che si conosce della violenza sulle donne, quindi, non è che la punta dell’iceberg, in cui la maggior parte rimane sommersa e sconosciuta. In più, una donna ne parla con la polizia, in media, dopo 5-7 anni che subisce violenze.Nella forma di violenza più grave si arriva all’omicidio ed i numeri, per il nostro Paese, sono impietosi. «Negli ultimi 15 anni – ha chiarito Della Rocca – si va tra i 150 e i 180 all’anno: nel 2013 e nel 2014 sono stati circa 180 gli omicidi di donne da parte degli uomini. I numeri, quindi, sono stabili: non stiamo parlando di una curva con un picco, ma di rette. Il femminicidio è strutturale, per cui se continuiamo ad affrontare il problema solo con le donne partiamo da una logica perdente. Bisogna coinvolgere gli uomini, ripartendo dalla prevenzione e dalla formazione, non più solo dalla repressione».
E allora perché non partire dal carcere per provare a cambiare le cose? Vista l’animata partecipazione al dibattito, il primo obiettivo è stato raggiunto: parlarne, affrontare il tema per provare a cambiare le cose. Anche da dentro le mura di un penitenziario.