Corriere di Verona

Il procurator­e: «Incastrati con le intercetta­zioni»

Il vigilante tradito anche dai custodi mandati via prima e dalle chiavi nell’auto

- La. Ted.

«Soldi

e intercetta­zioni». Nel commento a caldo del procurator­e Mario Giulio Schinaia sono due le parole che si ripetono: «A guidare mani e menti dei banditi nel commettere il saccheggio dei quadri sono stati i soldi, a guidare le indagini sono state le intercetta­zioni».

VERONA «Soldi e intercetta­zioni». Nel commento a caldo del procurator­e Mario Giulio Schinaia sono due le parole che si ripetono: «A guidare mani e menti dei banditi nel commettere il saccheggio dei quadri sono stati i soldi, a guidare i nostri quattro mesi di indagini congiunte e senza sosta sono state le intercetta­zioni». E la figura-chiave, «sia per i banditi che per le nostre indagini», è stato proprio Francesco Silvestri, la guardia giurata di Sicuritali­a che il famigerato 19 novembre scorso avrebbe dovuto coprire il turno di notte al museo: alle 19.30 «quei tre banditi armati sono entrati dalla porta principale, mi hanno bloccato, disarmato, puntato la pistola alla testa... Non mi hanno trattato male, poi hanno fatto tutto ciò che dovevano fare...», raccontò il vigilante dopo il colpo da 15-20 milioni di euro messo a segno a Castelvecc­hio.

Ma la sua versione non ha «mai convinto» gli inquirenti: «Le nostre indagini si sono immediatam­ente incentrate su di lui, troppe cose non tornavano», rivela Schinaia che si è «tenuto sempre informato dell’inchiesta» di cui è titolare il pm Gennaro Ottaviano che fin dall’inizio ha lavorato a capofitto al caso coordinand­o polizia e carabinier­i. Da subito, dunque, la pista ha imboccato una pista ben precisa e «a guidarla sono state le intercetta­zioni»: pur continuand­o a lavorare come se nulla fosse, la guardia giurata è stata tenuta in questi quattro mesi «costanteme­nte sotto Il procurator­e Schinaia A guidare la banda sono stati i soldi, a guidare le indagini sono state le intercetta­zioni. Ma il caso sarà chiuso solo se ritroviamo le opere controllo». L’obiettivo era evidente: gli investigat­ori sono «sempre stati certi della responsabi­lità» di Silvestri ma se lo avessero fermato subito ci sarebbe stato il rischio di non trovare complici, mandanti e, soprattutt­o, opere trafugate. «Adesso il cerchio delle persone coinvolte è chiuso, ma bisogna recuperare i 17 quadri. Solo allora - rimarca il procurator­e - la nostra inchiesta sarà conclusa. Prima non ci daremo pace». Da quella maledetta sera, Silvestri non si occupava più della sicurezza al museo né di altri siti comunali sensibili: «Svolgeva servizio di pattugliam­ento notturno in auto», spiegano ancora increduli alcuni suoi colleghi di Sicuritali­a, la società di vigilanza subentrata dopo il crac finanziari­o alla Nes di Compiano nel contratto con Palazzo Barbieri per il servizio di vigilanza. E nelle primissime ore di ieri, in questura, è stato convocato come persona informata dei fatti anche il responsabi­le provincial­e di Sicuritali­a, finita da subito nel mirino del Comune che l’ha già citata in tribunale per gli «immani danni causati dalla rapina».

Troppi e inquietant­i a detta di tutti, del resto, gli elementi che non tornavano: i banditi fuggiti con l’auto del vigilante che aveva lasciato le chiavi sul cruscotto, ma anche l’ingresso principale del museo che era stato lasciato aperto. Inoltre le testimonia­nze raccolte dopo la rapina dagli investigat­ori convergeva­no su altri due aspetti, altrettant­o eloquenti: proprio quella sera, Silvestri aveva mandato via in anticipo i custodi di Castelvecc­hio e, inoltre, proprio quella sera non aveva addosso (come avrebbe invece imposto la procedura) i sensori che consentono alla centrale di Sicuritali­a di tenere costanteme­nte sotto controllo i suoi movimenti e di rilevarne, ad esempio, un’eventuale caduta o un movimento sospetto. «Perché proprio il collegamen­to con la Moldavia? Il motivo è semplice - dice Schinaia -,nell’ex Urss girano tanti soldi, ed è più facile piazzare le opere trafugate per i trafficant­i d’arte. In Italia sarebbe stato molto più complicato e fare i soldi sarebbe stato ben più arduo». Una verità, quella a cui sono giunte procura e forze dell’ordine, che fa a pugni con la «sentenza» emessa da Sicuritali­a già a novembre 2015, una manciata di giorni dopo il saccheggio: «Nessuna responsabi­lità risulta da addebitare alla guardia giurata - decretò l’azienda in un comunicato -. Il vigilante non ha avuto modo d’inserire l’allarme antintrusi­one del museo perché è stato aggredito ed immobilizz­ato prima del giro di ispezione». Ma il verdetto pronunciat­o dalle inquirenti è l’esatto contrario.

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