«Pisanello e Tintoretto: un valore inestimabile»
Sgarbi e i critici d’arte: «Era assurdo pensare di piazzare sul mercato queste opere rubate»
VERONA Come il Louvre senza la Gioconda. Così si disse all’indomani del terribile furto del 19 novembre con il quale furono sottratti al Museo di Castelvecchio i suoi più grandi capolavori. Primo fra tutti quella «Madonna della quaglia» che Vittorio Sgarbi aveva definito incredulo «la più importante opera di Pisanello». Sgarbi che oggi si augura che tutto si concluda nella «migliore delle soluzioni possibili». «Le spiegazioni cui avevo pensato per un episodio tanto folle – commenta lo storico dell’arte – erano due: quella di un attacco terroristico, ovviamente molto più inquietante rispetto all’ipotesi della responsabilità della guardia giurata. Plausibile che la guardia avesse pensato di chiedere un riscatto - la mia seconda ipotesi - a meno che non fosse così fessa da pensare a un’impossibile vendita dei dipinti rubati». E se nessuno si è sentito in grado di assegnare un valore economico a opere «incommensurabili», e invendibili, la sottrazione più clamorosa è stata per tutti proprio quella del Pisanello, simbolo del museo veronese. «L’opera più rara e pregiata - aveva spigato Bernard Aikema, storico dell’arte docente all’Università di Verona -, esito del gotico fiorito italiano di cui abbiamo pochissimi esempi paragonabili a questo per qualità e per la rara iconografia dove la ricchezza di particolari è straordinaria» «La “Madonna della quaglia” racconta la capacità di Pisanello – aveva aggiunto Loredana Olivato, sempre del nostro Ateneo - di avventurarsi verso l’adesione alla realtà».
Accanto al Pisanello l’altro simbolo di Castelveccho è quel Caroto il cui dipinto con un bambino che disegna, rarissima immagine d’infanzia per quel tempo, è stato scelto come logo dagli Amici dei Musei di Verona, ma anche dalla spontanea reazione al furto comparsa nelle strade di varie città d’Italia e on line con l’hashtag «Io non mi lascio fregare». Frase che era stata «aggiunta» proprio sul foglio impugnato dal ragazzino del Caroto. Un dipinto «straordinario e rivoluzionario, una novità totale» lo definisce Olivato, «il primo di questo genere – ribadisce Aikema-, un documento di storia antropologica di immenso valore che tutti contendono a Castelvecchio».
Rarissimo tesoro per Aikema e Olivato anche il San Girolamo di Jacopo «capostipite dei Bellini, di cui abbiamo poche opere dipinte». Quanto al Mantegna «la sua bellezza e qualità sono indiscutibili anche a fronte di un minimo di dubbio sull’attribuzione». A questi capolavori si aggiungono la «Madonna allattante» di Tintoretto, il Rubens e «quel codazzo di opere di valore secondario», chissà se dovuto a ignoranza o un desiderio di depistaggio o chissà che altro. Ma finché non saranno tornati a casa, non avremo tutte le risposte.