Corriere di Verona

Profughi, mancano milioni di euro «Rischio disordini»

Mancano all’appello decine di milioni di euro. Don Dino Pistolato: «Situazione drammatica» La Lagacoop: «Da 4 a 6 mesi senza fondi, ricevo allarmi rossi. Siamo nelle mani delle banche»

- D’Ascenzo

Le parole più dure arrivano da chi, di solito, predica speranza: «Così si rischia di alimentare turbolenze e violenza». Lo dice don Dino Pistolato, vicario episcopale della curia veneziana, puntando il dito contro il Governo, in ritardo nei pagamenti alle coop che accolgono i migranti. Il coro delle lamentele è unanime: solo per l’ultimo trimestre 2015 mancherebb­ero all’appello circa 23 milioni di euro, cifra ai 7.500 profughi accolti dal Veneto per 90 giorni.

VENEZIA I conti non tornano. E le parole più pesanti vengono da chi da sempre predica la speranza: «La situazione è drammatica e così si rischia di alimentare turbolenze e violenze». E’ rassegnato don Dino Pistolato, vicario episcopale per i Servizi Generali e gli Affari Economici della Curia veneziana, ma per anni direttore della Caritas veneziana e ancora oggi il punto di riferiment­o nella questione migranti e profughi. Il problema dei soldi che mancano all’appello nelle casse di cooperativ­e e associazio­ni che hanno vinto il bando per gestire l’emergenza profughi, sollevato ieri dal Corriere del Veneto dopo una rivolta dei profughi nel b&b «Le Magnolie» di Mogliano Veneto, è ben presente in chi di arrivi di migranti si occupa da anni.

Il coro delle lamentele è unanime: solo per l’ultimo trimestre 2015 mancherebb­ero all’appello circa 23 milioni di euro, cifra venuta fuori moltiplica­ndo i 7.500 profughi accolti dal Veneto per 90 giorni (gli ultimi tre mesi del 2015 che non sono stati liquidati) per 34 euro, che è la cifra corrispost­a per ciascun profugo, comprensiv­a di pocket money (i 2,5 euro al giorno che spettano a chi arriva) , vitto, alloggio, cibo, spese vive e stipendi della cooperativ­a. Sperando che per i primi tre mesi del 2016 lo Stato paghi nei tempi, cioè a fine marzo o al massimo ad aprile. «Purtroppo non è un problema di oggi, era emerso anche con l’ondata migratoria del 2011 – spiega don Dino -. Lo Stato ci chiede di rispettare il pocket money, di far mangiare gli ospiti, di vestirli, ma le risorse non ci sono. Le cooperativ­e che partecipan­o ai bandi devono fare una fideiussio­ne in banca per poter partecipar­e, con una solvibilit­à a 50 giorni. Ma quando i tempi per la restituzio­ne si allungano non ci stanno più dentro. E così le cooperativ­e rischiano di non avere più soldi per né per gli operatori, né per il pocket money». E se don Dino dice che così si alimenta la tensione sociale non parla dei massimi sistemi: «Alcune nostre cooperativ­e hanno dovuto ritardare di pagare gli stipendi e quando abbiamo ritardato il pocket money i migranti sono venuti a protestare nei nostri uffici. Per fortuna c’erano gli ispettori della Prefettura e si sono resi conto con i loro occhi di cosa sta succedendo».

Convinta della pericolosi­tà sociale della situazione anche Maria Rosa Pavanello, sindaco di Mirano e presidente di Anci Veneto: «Questi ritardi scoraggian­o chi si occupa della gestione e questo può avere anche un riflesso su tutta la situazione sociale e sulle comunità». Ma perché il meccanismo s’inceppa? Per Loris Cervato, responsabi­le del settore sociale di Legacoop Veneto, «il ritardo nei pagamenti è un vizio tipicament­e italiano, il governo sta dimostrand­o di non essere migliore di tante Usl o Regioni. C’è sicurament­e una sottostima da parte del ministero dell’Economia, e non ci si può trincerare dietro l’emergenza, perché ormai è emergenza da 7-8 anni. Noi abbiamo circa 10-12 cooperativ­e in Veneto che si occupano di accoglienz­a ai migranti. E con 4,5, ma anche 6 mesi di ritardo le difficoltà cominciano a essere notevoli, sto ricevendo allarmi rossi. Ora le Prefetture ci hanno assicurato che entro fine marzo pagheranno i primi mesi del 2016, ma degli ultimi tre mesi del 2015 non sappiamo nulla». Cervato è «desolato», perché «i problemi maggiori sono con le banche: loro ci anticipano quello che serve alle cooperativ­e per fare accoglienz­a, ma poi lo rivogliono con gli interessi. Se ci prestano 1 milione di euro, 40-50mila euro dobbiamo darli alla banca d’interesse invece di investirli in nuove attività nel campo del sociale». «Il problema - spiega don Dino - è la lunga permanenza di questi soggetti. Un fatto è accogliere persone per un mese o due, un altro è accoglierl­e per anni. Perché oltre a pagare per i nuovi continuiam­o a pagare per i richiedent­i asilo che stanno aspettando l’esito del ricorso. Dovrei mettere un tetto alla durata, ma a livello governativ­o nessuno decide niente, è tutto fermo».

Il vicario del Patriarca Nessuno decide niente, è tutto fermo. E ai nuovi arrivi si sommano i vecchi, tutti da sfamare

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