«Così hanno derubato il museo, ora il tesoro è stato diviso in due»
«L’idea della sottrazione dei quadri nasce da Francesco Silvestri, da anni custode pressoché esclusivo del museo di Castelvecchio a piena conoscenza del sistema di sicurezza e delle sue falle». Parla chiaro il decreto di fermo su cui si incentreranno oggi gli interrogatoriai 7 dei 12 fermati rinchiusi a Montorio: il vigilante della Sicuritalia «aveva in mente il colpo grosso da tempo».
VERONA Dov’è nascosto il tesoro artistico valutato dalla procura in «almeno 17 milioni di euro» e trafugato da Castelvecchio il 19 novembre 2015? La risposta alla domanda che tutti si fanno all’indomani dei 12 fermi per la «rapina del secolo» sta nero su bianco nel decreto redatto dal pm Gennaro Ottaviano: «Con elevatissima verosimiglianza si ritiene che i quadri ad oggi siano custoditi in parte dai moldavi in Moldavia e in parte dagli italiani presso la madre di Svitlana Tkachuk (compagna del fratello del vigilante di Sicuritalia, ndr) che dimora in Transinistria», uno stato indipendente de facto ma considerato
de iure parte della Moldavia.
Il film del colpo
«L’idea della sottrazione dei quadri nasce da Francesco Silvestri, da anni custode pressoché esclusivo del museo di Castelvecchio a piena conoscenza del sistema di sicurezza e delle sue falle». Parla chiaro il decreto di fermo su cui si incentreranno oggi gli interrogatori (davanti al gip Giuliana Franciosi) ai 7 dei 12 fermati rinchiusi a Montorio: il vigilante della Sicuritalia «aveva in mente il colpo grosso da tempo». E poi la stessa guardia, il fratello Pasquale Ricciardi Silvestri e la compagna di quest’ultimo, Svitlana, «hanno plurimi contatti con dei moldavi», in particolare con quel Vasile Mihailov che «è da ritenersi il vero sodale di spicco del sodalizio» in quanto «organizzerà il colpo e il trasporto insieme ad Anatolie Burlac e al figlio di quest’ultimo a Pavel Vasilachi e al figlio Sergiu e a Cornel Vasilita. Improvvisamente dal 19 novembre 2015 (sera della rapina ndr) gli italiani con la compagna Tkachuc e i moldavi non si sentiranno più. Nemmeno un sms - scrive il pm - una chiamata o un incontro. Il quadro, triste gioco di parole, è tristissimo».
Indizi contro la guardia
«L’auto in uso a Silvestri - evidenzia il decreto di fermo - era perfetta per la fuga: era priva dei sedili posteriori con facile possibilità di caricamento dei quadri. Tale circostanza va ad aggiungersi al serbatoio “casualmente” pieno, alla comodità nel reperire le chiavi perché tenute addosso dal Silvestri diversamente da sempre. I rapinatori quella sera hanno fruito di tre circostanze del tutto “casuali” e contrarie alle abitudini» del vigilante di Sicuritalia: «Aveva addosso le chiavi diversamente da sempre, arriva 10 minuti prima delle 19, sempre contrariamente al solito; l’auto aveva quasi il pieno e non aveva i sedili posteriori». Non è finita qui: la guardia «non ha subito alcun danno dalla rapina, l’auto non è stata bruciata e il telefono non gli è stato rubato né i malviventi lo hanno cercato» mentre alla custode disabile del museo sequestrata durante il colpo «hanno rubato 300 euro dalla borsetta e il telefonino» . Per non parlare del suo «atteggiamento post factum: non si spiega perché, se non c’entrasse nulla con quanto successo, smette di parlare al telefono, non parla in auto, resetta il telefonino nel momento in cui esce dagli uffici della procura».
Il sopralluogo del 18
«Ad aggiungere maggior peso al già grave quadro indiziario» contro il vigilante sono «le immagini relative al giorno prima della rapina: alle ore 19.27 del 18 novembre 2015- ricostruisce il decreto di fermo - si possono notare tre soggetti nascosti, accovacciati, fuori dell’atrio di Castelvecchio». I tre sono rimasti al museo «per oltre 30 minuti, fino alle 20. A quest’ora, quando nessuno è più presente si avvicina a loro Silvestri (la guardia, ndr) e, come se niente fosse, i tre lo seguono per poi uscire dal raggio delle telecamere. Chi erano i tre?Perché Silvestri non ha mai segnalato l’episodio » nemmeno dopo la rapina?«Le risposte - per la procura - erano scontate: o il colpo doveva essere fatto quella sera o era stato fatto un sopralluogo». E la prova-chiave è che «le utenze telefoniche in uso ai moldavi responsabili della rapina diranno che gli stessi erano a Castelvecchio sia la sera del 18 che del 19 novembre».
Gemello e compagna
Per il pm «Pasquale Ricciardi Silvestri e la compagna Svitlana hanno organizzato il colpo con l’evidente complicità del fratello Francesco Silvestri vigilante di Sicuritalia. E questo perché i tre «sono stati in strettissimo contatto con i moldavi presenti a Castelvecchio sia il 18 che il 19 novembre come si evince dalle intercettazioni » . Nel suo passato, emergono poi « il licenziamento da Riva Acciaio per continui ammanchi di carburante, la rapina della pistola nel 2006 quando era dipendente della Nes (a cui è subentrata Sicuritalia dopo il crac,
ndr), il furto di 600 euro durante un trasporto valori,
ndr) ». Inoltre «ulteriore elemento» a carico del fratello della guardia «va ricercato nel contatto telefonico» che i due hanno alle 20.20 del 18 novembre, quando il vigilante «scorge tre persone accovacciate nel cortile del museo oltre l’orario di chiusura e non se ne preoccupa né tantomeno lo segnala a chicchessia neppure a rapina avvenuta».
I quadri e i moldavi
Per gli inquirenti le opere trafugate «sono rimaste nella casa di Denis e Adrian Damaschin in via Rose di Sotto a Brescia fino al 25 dicembre 2015» mentre «il trasporto fuori dall’Italia avverrà negli ultimi giorni del 2015» e le intercettazioni «non danno spazio a dubbi circa l’organizzazione del trasporto da parte di Mihailov, Burlac e Vasilachi dai confini, i quadri «erano destinati in Ucraina, a Odessa», prima di giungere in Moldavia e Transinistria. Lì, ora, è nascosto il tesoro saccheggiato a Verona.
Parte delle opere ora si trova dalla madre della compagna del fratello del vigilante, nella Transinistria Le tele sono rimaste nel bresciano fino a dicembre, poi sono transitate in Ucraina e ora sono state divise