Giacino e Lodi, in appello il pg non concede sconti: «Pene da confermare»
In appello il procuratore generale Condorelli ha chiesto 5 anni per l’ex assessore e 4 per la moglie. Leardini e Comune si sono associati all’accusa. Battaglia dalle difese
Nessuna retromarcia in appello a Venezia dal Pg Antonino Condorelli per l’ex assessore Giacino e la m0glie: per lui chiesta la conferma dei 5 anni, per lei 4.
VERONA Stessi reati e identiche condanne. Non ha concesso sconti il procuratore generale presso la Corte d’Appello Antonino Condorelli, aprendo con la sua requisitoria l’udienza-fiume andata in scena per l’intera giornata di ieri a porte chiuse in camera di consiglio a Venezia nei confronti dell’ex vicesindaco e assessore all’Urbanistica del Comune di Verona Vito Giacino e della moglie Alessandra Lodi per gli almeno 600mila euro di mazzette che - secondo l’accusa - avrebbero intascato in cambio di favori urbanistici dall’imprenditore Alessandro Leardini. Come già decretato in primo grado a fine dicembre 2014 dal giudice per l’udienza preliminare di Verona Giuliana Franciosi con il rito abbreviato (che garantisce in caso di condanna lo sconto di un terzo sulla pena finale), anche a parere del pg Condorelli la coppia si sarebbe resa responsabile del reato di «concussione per induzione indebita» (sanzionato dall’articolo 319 quater del codice penale) anziché di corruzione.
Cinque gli anni di reclusione inflitti a Giacino in primo grado, quattro quelli a cui è stata condannata la Lodi (difesi dagli avvocati Filippo Vicentini e Apollinare Nicodemo) che hanno impugnato la sentenza in appello. Ieri, per discutere delle loro posizioni, si è tenuta per svariate ore, dal mattino a sera inoltrata, la prima «puntata» (ne sono previste altre due fino a metà aprile, quando verosimilmente verrà pronunciato il verdetto dai magistrati lagunari di secondo grado) del processo d’appello che ha visto i riflettori puntati dopo il pg sulle parti civili, a partire dallo stesso Leardini (rappresentato dai legali Nicola Avanzi e Marco Pezzotti, che ieri ha parlato anche in rappresentanza del collega unendosi al pg nella richiesta di conferma di entrambe le condanne inflitte ai due imputati), che imputa alla coppia di aver preteso tangenti per oltre 600mila euro in cambio dell’agevolazione nelle pratiche urbanistiche che riguardavano le sue imprese. Al processo che ha fatto segnare ieri in aula a Venezia la presenza sia dell’ex vicesindaco che della moglie, seconda parte civile a parlare (come aveva stabilito la giunta comunale di Verona con una delibera ad hoc) è stata la stessa amministrazione comunale per danni morali e d’immagine. Ed anche Palazzo Barbieri, al pari dell’imprenditore che accusa la coppia di
Confermare a entrambi le pene del primo grado Imputati non colpevoli delle ipotesi contestate
avergli chiesto soldi per accelerare o comunque non bloccare le pratiche, ha sollecitato ieri ai giudici dell’Appello di confermare così come chiesto dall’accusa il verdetto pronunciato a Verona poco più di un anno fa. A pomeriggio avanzato, è toccato quindi all’avvocato Nicodemo dare il via alle arringhe (nel suo caso, in favore della Lodi) con cui le difese puntano il dito sia contro la lettura dei fatti che contro le condanne dei propri assistiti.
Quanto alle pene, «trattandosi di fatti connotati da rilevante gravità che impedivano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sussistendo il vincolo della continuazione», in primo grado era stato individuato «il reato più grave nell’episodio del 2013, ovvero quello relativo al Piano degli interventi con la promessa di una tangente da oltre un milione di euro e, discostandosi per la pena base dal minimo edittale, venivano irrogate le pene che si differenziavano per gli imputati in ragione della diversa posizione (certamente preminente quella di Giacino)». Di qui, si decise a Verona, i 5 anni al politico e i 4 inferti alla moglie. E a Venezia come andrà a finire?