Il Veneto pagherà docenti, medici, strade e in cambio si terrà 19 miliardi di tasse
Le competenze e i costi, l’immaginifico disegno che porterebbe ad uno Stato nello Stato
VENEZIA «Un modello in testa ce l’abbiamo, ben chiaro: sono Trento e Bolzano» dice il governatore Luca Zaia che poi alza lo sguardo ancora più su, a nord del nord: «Guardiamo ai Länder tedeschi, la Baviera, il Baden-Württemberg».
Ora, nell’attesa che l’Italia realizzi la tanto attesa riforma federale (se ne parla dal 1848, i tempi di Carlo Cattaneo), una precisazione è doverosa: per quanto il Veneto riuscirà a strappare allo Stato, non sarà mai come le invidiate Province autonome. I loro Statuti hanno rango costituzionale, poggiano su trattati internazionali (come l’accordo di Parigi tra De Gasperi e Gruber del 1946), garantiscono un’autonomia finanziaria quasi totale (trattengono il 90% del loro gettito fiscale sul territorio). «È vero - conferma il costituzionalista del Bo Luca Antonini, artefice della proposta di negoziato -. Ma se riusciremo a centrare tutti gli obiettivi che ci siamo posti ridurremo di molto il divario, saremmo vicinissimi». A cominciare dall’aspetto chiave dell’intera vicenda, i soldi. Recita infatti l’articolo 56: «Spettano complessivamente alla Regione le seguenti compartecipazioni ai tributi erariali riscossi sul suo territorio: i 9/10 del gettito Irpef; i 9/10 del gettito Ires; i 9/10 dell’Iva». Fatti due conti (li ha fatti Antonini) stiamo parlando di 19,4 miliardi di euro. E beninteso: le risorse in questione sarebbero sostitutive dell’attuale compartecipazione Iva ma non dei tributi propri come l’Irap, il bollo auto, l’addizionale Irpef. E la Regione avrebbe mano libera sulle aliquote.
Come verrebbero utilizzati tutti questi soldi dal «Veneto autonomo»? Innanzitutto si farebbe interamente carico del servizio sanitario, dall’erogazione delle cure al pagamento degli stipendi di medici e infermieri. Accade già oggi, si dirà: vero, ma solo grazie ad un trasferimento annuale da Roma, 8 miliardi con l’immancabile corollario di proteste ora per i tagli ora per i mancati aumenti. In questo caso, invece, la sanità sarebbe completamente autofinanziata (il che, tra l’altro, consentirebbe di rimodulare i ticket). Lo stesso accadrebbe con la scuola: «Nel rispetto dei principi e dei programmi statali» passerebbero alla Regione una lunga serie di competenze, dalla programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica alla gestione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, ma soprattutto «la titolarità della gestione del rapporto di lavoro del personale docente e amministrativo», il che significa stipendi ma anche incentivi, proprio come accade a Trento e Bolzano. Palazzo Balbi gestirebbe in autonomia anche i fondi per le scuole paritarie, pure quelli oggetto di periodiche contestazioni. E poi ancora l’università (così da realizzare corsi «aderenti alle richieste del mondo del lavoro di riferimento»), la ricerca, l’urbanistica, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali (uno per tutti: il patrimonio della Grande Guerra, dal Grappa all’Altopiano, verrebbe difeso e valorizzato da Palazzo Balbi), la protezione civile (il governatore godrebbe di poteri speciali, potendo «emanare ordinanze in deroga alle disposizioni nazionali e regionali vigenti» nel caso l’emergenza lo richiedesse).
Va da sé che a quel punto un lungo elenco di uffici non avrebbero più senso, almeno non come longa manus statale. Potrebbero sopravvivere al più come articolazioni della Regione. Nel progetto Antonini si citano l’Agenzia del demanio, le Sovrintendenze per i beni culturali, l’Anas (700 chilometri di strade nazionali passerebbero presumibilmente a Veneto Strade), il corpo forestale. Infine, con l’obiettivo di ridurre la filiera burocratica, la proposta suggerisce la «regionalizzazione» di una serie di fondi nazionali, a cui oggi la nostra Regione partecipa pro-quota. Dal fondo per il sostegno alle imprese a quello di garanzia, dal fondo per le opere pubbliche a quelli per l’imprenditoria giovanile o la formazione professionale. E poi la previdenza complementare e i finanziamenti per l’edilizia scolastica.
Il piano, non c’è che dire, è ambizioso e se mai dovesse concretizzarsi segnerebbe la nascita di un mini-Stato nello Stato da 5 milioni di abitanti (gli stessi della Norvegia, per intendersi). La Regione vorrebbe prendersi pure la gestione del demanio marittimo in laguna, «oggi eccessivamente frammentata». E qualcuno è già in ansia: «Zaia vuole tutto. Non è che al centralismo romano si sostituirà il neocentralismo veneziano?». Toccherà fare un altro referendum.