Angelo e la carità che vivrà in eterno Parleranno le opere
Pubblichiamo l’orazione funebre letta mercoledì scorso in Duomo a Padova da Giovanni Bazoli, in occasione delle esequie di Angelo Ferro. Bazoli, banchiere, era amico personale del professore, con cui aveva condiviso tra le altre l’attività nel Consiglio d
Il luogo in cui ci troviamo e la funzione religiosa cui stiamo per assistere non consentono di dedicare che poche ed essenziali parole al ricordo di un uomo che ha altamente onorato questa città e al quale la comunità qui riunita intende esprimere oggi la sua corale e unanime gratitudine. Una gratitudine e una coralità che, per la verità, non sempre gli era stata accordata in vita, dato che gli operatori di bene sono spesso visti come «segni di contraddizione».
Ma, per ricordare Angelo Ferro, non servono le parole. Nel suo caso parlano – e parleranno per sempre – le opere straordinarie da lui compiute. Domenica, proprio il giorno della sua scomparsa, un articolo sul Corriere ha fatto conoscere a tutti gli italiani le risorse prodigiose che sono offerte agli anziani e agli infermi nella Civitas Vitae. Tutti coloro che hanno letto l’articolo si sono posti la domanda se quella descritta fosse una città ideale da costruire, un’utopia, uno sogno irrealizzabile, o davvero una realtà esistente, viva e operante. In Italia, dove sembra impossibile che si riesca a realizzare opere collettive efficienti, si verifica un miracolo: alla periferia di Padova vive e opera una comunità dove si è inverato il sogno di trasformare la longevità in una risorsa, la sofferenza e la solitudine degli anziani in una stagione di nuove conoscenze e di nuova vita, l’opportunità (che la natura ha suggerito, ma che la vita moderna ostacola) di uno scambio di doni tra le generazioni più giovani e quella degli anziani in una sperimentata e felice realtà.
L’ultima volta che ho incontrato Angelo e ho parlato con lui – due settimane fa – mi sono permesso, nell’uscire dalla stanza, di chiedere a Sergia, varcando una soglia delicata di confidenza, sino a che punto lui fosse consapevole delle sue reali condizioni di salute e della fatale prognosi che sin dall’inizio della malattia era stata formulata. Questo perché in tutti i colloqui e gli incontri avuti con Angelo dopo l’insorgere del male, l’avevo sentito sempre convinto, anzi certo, di poter programmare il futuro. La risposta di Sergia è stata illuminante: Angelo era perfettamente consapevole della gravità della malattia, ma era altrettanto sicuro che l’avrebbe sconfitta. Perché considerava questa alla stessa stregua di tante “imprese impossibili” che aveva affrontato e vinto nella sua vita.
Non è questa la sede per richiamare le «imprese impossibili» che Angelo ha realizzato, non solo nel campo imprenditoriale, ma in tutti i settori in cui ha ritenuto di impegnarsi, con instancabile operosità, per perseguire obiettivi che riteneva meritevoli. È invece appropriato, e persino doveroso, sottolineare la lezione e l’esempio imperituro che lui lascia dei risultati straordinari che possono essere conseguiti quando lo spirito imprenditoriale – che vuol dire iniziativa e intraprendenza, capacità organizzativa e di programmazione, visione d’insieme – è riversato e messo a disposizione di opere finalizzate non solo al profitto, ma anche al servizio del bene comune, traducendo nella realtà quotidiana l’esortazione di Papa Francesco di non sottomettere l’economia “ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia” (Laudato si, n. 189)
Tutti gli organismi affidati alla guida di Angelo Ferro – come l’Ucid e, negli ultimi vent’anni, la Civitas Vitae, la città di cui, come ha scritto efficacemente Cazzullo, egli è stato e sarà per sempre il «sindaco» – appena presi in mano da lui, venivano investiti da una ventata travolgente di nuove idee e di nuovi traguardi. Angelo era un trascinatore irresistibile, perché univa volontà e capacità imprenditoriale agli obiettivi ideali più ambiziosi (quasi «impossibili»): questa combinazione ne ha fatto una figura unica di «imprenditore sociale». Ma l’intera vita di Angelo Ferro e tutte le opere da lui realizzate non si spiegherebbero se non fossero state sorrette e ispirate da una fede che non poteva essere più cristallina, lineare, persino elementare. Ogni fede ha la sua vocazione. Quella di Angelo era guidata dall’impellente necessità di tradursi in opere volte alla promozione del prossimo. Quel prossimo che negli ultimi anni Angelo vedeva principalmente nei malati e negli anziani.
Ciò che ho detto finora sarebbe tuttavia incompleto se non mettessi in luce un ulteriore aspetto: l’attenzione al prossimo era per Angelo un dato del tutto spontaneo. Prima ancora di rappresentare un dovere e di costituire l’espressione della sua fede, era per lui una naturale inclinazione. Angelo aveva un incorreggibile ottimismo nei confronti degli uomini, perché vedeva la gloria di Dio in ogni uomo vivente (Ireneo di Lione, Adversus Haereses, IV 20,7).
Non è consueto considerare che l’amore per il prossimo, prescritto dal Secondo Comandamento, non contraddice l’amore per se stessi, ma si pone in continuità con esso: intende cioè raccomandare che tale amore sia riversato su tutti gli altri. Perché ciò che è comandato è l’amore per la vita, che a sua volta ispira un sentimento perenne di gratitudine al Creatore che ce l’ha donata. Angelo amava la vita: la natura, i viaggi, il mare, le compagnie, le amicizie, sempre e soprattutto la meravigliosa confidenza con la moglie. Ma non godeva i limpidi piaceri della vita se non in compagnia. E sentiva sempre il bisogno di rendere partecipi di questi doni tutti gli altri: soprattutto coloro che, per malattia o per l’età, non riescono ad apprezzare le risorse straordinarie che la vita fino all’ultimo sa offrire. Questo è il modo – positivo, gioioso, entusiasta – in cui Angelo ha amato il prossimo. Questa è stata la sua forma di carità.
Come sappiamo, la carità è perfetta: «le profezie scompariranno», «la conoscenza svanirà», ma la carità vivrà per sempre. Per questo Angelo, che ha praticato la carità, è qui con noi oggi e con noi resterà sempre. Ci accompagnerà e ci aiuterà nelle imprese possibili, quelle che sono alla nostra portata, e forse anche in quelle «impossibili», a cui lui non rinunciava mai.