«Solo indizi», il vigilante non confessa Fratello e compagna: abbiamo sbagliato
Il gemello della guardia e l’ucraina: pensavamo di ricavare qualcosa. Muro di gomma dai moldavi
VERONA Neppure una parola. Silenzio assoluto e bocca cucita ieri mattina da parte di Francesco Silvestri, la guardia giurata di Sicuritalia a cui il pubblico ministero Gennaro Ottaviano contesta nelle 27 pagine di decreto di fermo «gravissimi indizi di correità» nella realizzazione del «colpo del secolo» da almeno 17 milioni di euro messo a segno quattro mesi fa, la sera del 19 novembre, al museo di Castelvecchio.
Sette le persone in carcere a Verona, cinque i presunti complici rinchiusi in cella in Moldavia a cui si aggiunge un tredicesimo indagato in stato di libertà. A Montorio, ieri mattina, ha voluto essere presente anche il pm Ottaviano agli interrogatori che si sono svolti per tutti i sette detenuti davanti al giudice per le indagini preliminari Giuliana Franciosi. Dal gip, fino alla tarda serata di ieri, nessuna decisione sulla conferma o meno dei fermi: per emetterla ha 48 ore di tempo, ma il provvedimento è comunque atteso per oggi dalle difese. Per ora, dunque, rimangono dietro le sbarre i sette indagati che si trovano in carcere a Verona per aver - a vario titolo e con diversi gradi di responsabilità - rivestito secondo gli inquirenti un ruolo nel saccheggio dei 17 dipinti «di inestimabile valore» da Castelvecchio. Finora, le prime «parziali ammissioni» sono giunte da Pasquale Ricciardi Silvestri (difeso dall’avvocato Teresa Bruno) e dalla compagna ucraina Svitlana Tkachuk (tutelata dall’avvocato Marzia Rossignoli), mentre colui che forze dell’ordine e procura ritengono «basista e organizzatore della rapina», ovvero la guardia giurata di Sicuritalia in servizio quella sera al museo, non ha aperto bocca avvalendosi della facoltà di non rispondere. «Nessuna dichiarazione da rilasciare», ha tagliat o corto il suo legale Ales sandro Natal i dopo l’udienza ma dagli investigatori giunge conferma che martedì, dopo essere stato condotto in questura in stato di fermo, il vigilante Francesco Silvestri ha negato ogni contestazione non ammettendo nulla. Quelle che il pm gli addebita, a suo dire, altro non sarebbero se non «fortuite coincidenze». Si tratterebbe «solo di indizi».
Invece nel decreto di fermo il pm evidenzia come «i rapinatori quella sera hanno fruito di tre circostanze del tutto “casuali” e contrarie alle abitudini» del vigilante di Sicuritalia: «Aveva addosso le chiavi diversamente da sempre, arriva 10 minuti prima delle 19, sempre contrariamente al solito; l’auto aveva quasi il pieno e non aveva i sedili posteriori». Non è finita qui: la guardia «non ha subito alcun danno dalla rapina, l’auto non è stata bruciata e il telefono non gli è stato rubato né i malviventi lo hanno cercato» mentre alla custode disabile del museo sequestrata durante il colpo «hanno rubato 300 euro dalla borsetta e il telefonino ». Per non parlare del suo «atteggiamento post factum: non si spiega perché, se non c’entrasse nulla con quanto successo, smette di parlare al telefono, non parla in auto, resetta il telefonino nel momento in cui esce dagli uffici della procura».
Per Silvestri sarebbero tutte «solo coincidenze», invece ieri il pm ha chiesto al gip sia per lui che per gli altri sei fermati rinchiusi a Montorio la conferma della misura cautelare in atto. Oltre ai «gravissimi indizi
di delitto», a tutti l’accusa addebita «un concreto e reale pericolo di fuga». Di parere opposto le difese, che hanno già preannunciato ricorso al Riesame in caso di bandiera rossa ai domiciliari da parte del gip.
Né i moldavi (difesi dagli avvocati Massimo Dal Ben ed Emanuele Luppi) né la guardia confessano, invece sia il fratello gemello Pasquale Ricciardi Silvestri che la compagna ucraina di quest’ultimo hanno iniziato a collaborare con gli investigatori. E le loro due versioni, nonostante in queste ore non si siano ovviamente mai parlati, sono pressoché sovrapponibili: tutti e due, infatti, ammettono di aver conosciuto quei moldavi giunti a Verona per «fare un grosso colpo» e di averli inizialmente aiutati con la lingua e mostrando loro la città. Li avrebbero portato anche all’Arena e in altri monumenti ed edifici di pregio: quando la banda annuncia ai due di voler depredare Castelvecchio, la coppia sostiene di essersi tirata indietro e di aver cercato di convincerli a desistere. Nessun contatto, a loro dire, finché apprendono della rapina in tv: a quel punto, dichiarano Pasquale e Svitlana, li abbiamo ricontattati per vedere se potevamo ricavarci qualcosa anche noi. «Ci avevano promesso un regalino, dovevamo denunciarli. Abbiamo sbagliato». Basterà per far loro ottenere i domiciliari con i tre figlioletti?