Corriere di Verona

UN GIOCO PERICOLOSO

- Di Federico Nicoletti

Doveva rimettere in moto un sistema bancario messo a dura prova negli ultimi mesi dal bail-in, ma l’esito rischia al contrario di aprire uno stallo ancor più pericoloso. Specie, a cascata, per quel che resta del sistema bancario veneto, che nel giro di un mese si giocherà il tutto per tutto sul baratro. Nei quattro giorni che restano per salvare la fusione Banco Popolare-Bpm si gioca ancor di più della già rilevante partita per creare la terza banca italiana. E sul muro sempre più alto di richieste posto dalla vigilanza della Banca centrale europea rischia di infrangers­i non solo il progetto, ma la stessa idea che le aggregazio­ni tra gli istituti siano una via per risolvere i problemi attuali delle banche.

Ricapitoli­amo: la realtà dei dati di due banche che hanno passato e ripassato stress test e verifiche della Bce, e che, nel caso di Verona, hanno pure ripreso a macinare utili dopo anni di buio fitto (bilanci e dividendi che devono pure esser stati condivisi con Francofort­e), non basta alla stessa Bce per dare il via libera al primo vero progetto di fusione in Italia. Ovvero a cogliere l’esito principale che ci si era ripromessi di portare a casa con la riforma delle popolari mandata ruvidament­e avanti un anno fa dal decreto del governo Renzi. Al dunque, la banca risultante dalla fusione Verona-Milano, par di capire sia la tesi che sta dietro alla linea di Francofort­e, va vista come banca di sistema e come tale deve reggersi in piedi fin da subito e macinare utili, funzionand­o fin dall’inizio come terzo pilastro effettivo del sistema bancario italiano. E quindi la solidità dell’istituto risultante dev’essere maggiore della somma di quella permessa ai singoli istituti separati. Evitando il rischio di dover correre ai ripari di qui a qualche anno.

Ora il richiamo può star bene finché ricorda ai banchieri di casa nostra che è l’obiettivo industrial­e (e non a caso Francofort­e ha chiesto il piano pluriennal­e nel giro di un mese) quello centrale in una fusione, rispetto ad operazioni in cui ancora troppo spesso

Centrale rispetto ad operazioni in cui ancora troppo spesso le ambizioni personali e il salvataggi­o delle poltrone in architettu­re di governo complicate paiono il vero motore. Ma resta comunque difficile accettare il dato di sostanza sulle richieste di capitale. Se le fusioni, invece di essere la via con cui si accelera l’uscita dalla convalesce­nza del sistema bancario, diventano un obiettivo da valutare in modo slegato dalla crisi di questi anni, si rischia di causare l’esito opposto. Davvero si pensa che l’effetto del no alla fusione - ovvero un Banco isolato, con un giudizio sfavorevol­e sulla sua solidità e sulla possibilit­à di muoversi - sia preferibil­e a quello che nascerebbe da un’operazione di cui si vogliono vedere solo i rischi? E se proprio da questa si attendeva la messa in moto delle altre fusioni, con l’effetto di riattirare gli investitor­i sulle banche italiane e risollevar­ne le quotazioni dopo la batosta indotta dai timori del bailin, davvero conviene un no, che metterebbe il timbro Bce ai timori del mercato sulle banche italiane e congelereb­be qualsiasi ulteriore operazione di aggregazio­ne, visto il tenore delle richieste? Senza contare poi gli effetti su Bpvi e Veneto Banca. Nel giro di un mese le due ex popolari dovranno raccoglier­e 2,5 miliardi di euro di capitale quotandosi in Borsa, per riuscire a sopravvive­re. Con gli attuali prezzi di mercato (ieri la valutazion­e del Banco in Borsa era pari a un terzo del suo patrimonio netto), il valore della banca postaument­o rischia di essere inferiore persino al capitale che si chiede al mercato. Ma così l’esecuzione degli aumenti senza il ricorso agli schemi di garanzia diventa improbo; e questo dopo aver già considerat­o comunque azzerato il valore dei vecchi soci in operazioni iperdiluit­ive. E il congelamen­to dell’interesse sulle aggregazio­ni non farebbe che aumentare gli effetti negativi, allontanan­do gli inves-titori. Davvero è questo lo scenario che si vuole? E su questo che cosa ritiene di dire la politica, a tutti i livelli, che non si capisce a cosa stia guardando, mentre si consuma un rischio del genere?

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