Corriere di Verona

«Allarmi esagerati»: quando Usl, sindaci e Coldiretti minimizzav­ano

Diffide a analisi «al ribasso». E Mantoan si infuriò con il dg

- di Andrea Priante

«L’attesa di tempi maturi per prendere una decisione condivisa è condizione necessaria per non preoccupar­e la popolazion­e con decisioni dettate dalla fretta».

Gennaio 2015. Così il sindaco di Brendola, Renato Ceron, commentava la scelta del collega di Sarego di vietare l’utilizzo, per uso potabile, dell’acqua di 61 pozzi privati. Più che dalla presenza dei Pfas nella falda, pareva infastidit­o da quella «fuga in avanti» del Comune limitrofo. E così, garantendo «che i valori ad oggi delle nostre analisi sono nettamente rassicuran­ti», rivendicav­a l’intenzione di «evitare azioni che inducano ad allarmismi».

Com’è finita, è notizia di questi giorni: Brendola è nella lista dei Comuni più esposti dalla presenza delle sostanze tossiche, e già da mesi il paese si è dovuto dotare di un’ordinanza che vieta l’utilizzo di diversi pozzi. I toni, ora sono diversi. Giorni fa, presentand­o una serie di interventi per liberare l’acqua dai Pfas, Ceron rivendicav­a: «Attenzione costante a garanzia della sicurezza è un dovere nei confronti dei cittadini, per questo non abbiamo perso tempo…».

Il primo cittadino di Brendola è in buona compagnia: negli ultimi tempi, sono in molti ad aver cambiato approccio nei conf ront i del fenomeno. «Quando denunciava­mo la contaminaz­ione - ricorda Piergiorgi­o Boscagin, del Coordiname­nto Acqua Libera dai Pfas - ci deridevano o ci accusavano di fare del terrorismo, creando del panico».

A dirla tutta, quando il sindaco Ceron ancora sosteneva la qualità dell’acqua brendolana, lo faceva in buona fede. A trarlo in inganno era il fatto che l’Usl 5 indicava dei limiti molto meno restrittiv­i di quelli predicati dalla Regione. E questo perché l’azienda ospedalier­a si riferiva ai parametri dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) mentre Venezia applica le direttive del ministero della Salute. Quando lo scoprì, il direttore generale alla Sanità del Veneto, Domenico Mantoan, andò su tutte le furie. In una lettera protocolla­ta il 13 gennaio 2015 dalla Regione, Mantoan scrive al dg dell’Usl 5, Giuseppe Cenci, chiedendo perché l’azienda avesse espresso «64 giudizi di idoneità all’uso dell’acqua potabile per pozzi rilevati, nonostante il superament­o dei valori» (...) «in violazione di disposizio­ni dell’Istituto superiore di sanità» minacciand­o di «trasmetter­e all’autorità giudiziari­a» quanto riscontrat­o. Cenci non perde tempo e il 14 gennaio convoca il responsabi­le del Servizio igiene degli alimenti (Sian) Franco Rebesan per quella che sembra una lavata di capo.

Ma non sono soltanto le Usl e qualche sindaco ad aver dovuto fa re marcia indi e t ro. La Coldiretti, ad esempio, ora ricorda che «nella zona contaminat­a bisognerà provvedere a controlli semestrali» e proprio per questo chiede «qualche aiuto dalla mano pubblica» per permettere agli agricoltor­i di pagare le analisi. Ma a gennaio 2015, il vicepresid­ente della Coldiretti vicentina, Claudio Zambon, parlava così delle ordinanze che vietavano di dar da bere agli animali utilizzand­o i pozzi privati: «Mi sembra davvero eccessivo, è una misura sproporzio­nata in quanto ad oggi non esiste alcuno studio che metta in relazione l’acqua con i Pfas nei limiti più restrittiv­i e il rischio per la salute umana». Messi di fronte alle analisi anche gli scettici hanno dovuto ricredersi. «La Regione ha sempre avuto chiaro che la situazione poteva essere potenzialm­ente molto pericolosa. Ma è evidente - ammette il dg Domenico Mantoan - che almeno all’inizio, per interessi diversi, da parte di qualche altro settore si è invece cercato di fare in modo che il problema passasse un po’ sotto silenzio».

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La lettera Il dg regionale alla Sanità chiedeva all’Usl 5 perché autorizzas­se l’uso dei pozzi nonostante superasser­o i valori

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