«Allarmi esagerati»: quando Usl, sindaci e Coldiretti minimizzavano
Diffide a analisi «al ribasso». E Mantoan si infuriò con il dg
«L’attesa di tempi maturi per prendere una decisione condivisa è condizione necessaria per non preoccupare la popolazione con decisioni dettate dalla fretta».
Gennaio 2015. Così il sindaco di Brendola, Renato Ceron, commentava la scelta del collega di Sarego di vietare l’utilizzo, per uso potabile, dell’acqua di 61 pozzi privati. Più che dalla presenza dei Pfas nella falda, pareva infastidito da quella «fuga in avanti» del Comune limitrofo. E così, garantendo «che i valori ad oggi delle nostre analisi sono nettamente rassicuranti», rivendicava l’intenzione di «evitare azioni che inducano ad allarmismi».
Com’è finita, è notizia di questi giorni: Brendola è nella lista dei Comuni più esposti dalla presenza delle sostanze tossiche, e già da mesi il paese si è dovuto dotare di un’ordinanza che vieta l’utilizzo di diversi pozzi. I toni, ora sono diversi. Giorni fa, presentando una serie di interventi per liberare l’acqua dai Pfas, Ceron rivendicava: «Attenzione costante a garanzia della sicurezza è un dovere nei confronti dei cittadini, per questo non abbiamo perso tempo…».
Il primo cittadino di Brendola è in buona compagnia: negli ultimi tempi, sono in molti ad aver cambiato approccio nei conf ront i del fenomeno. «Quando denunciavamo la contaminazione - ricorda Piergiorgio Boscagin, del Coordinamento Acqua Libera dai Pfas - ci deridevano o ci accusavano di fare del terrorismo, creando del panico».
A dirla tutta, quando il sindaco Ceron ancora sosteneva la qualità dell’acqua brendolana, lo faceva in buona fede. A trarlo in inganno era il fatto che l’Usl 5 indicava dei limiti molto meno restrittivi di quelli predicati dalla Regione. E questo perché l’azienda ospedaliera si riferiva ai parametri dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) mentre Venezia applica le direttive del ministero della Salute. Quando lo scoprì, il direttore generale alla Sanità del Veneto, Domenico Mantoan, andò su tutte le furie. In una lettera protocollata il 13 gennaio 2015 dalla Regione, Mantoan scrive al dg dell’Usl 5, Giuseppe Cenci, chiedendo perché l’azienda avesse espresso «64 giudizi di idoneità all’uso dell’acqua potabile per pozzi rilevati, nonostante il superamento dei valori» (...) «in violazione di disposizioni dell’Istituto superiore di sanità» minacciando di «trasmettere all’autorità giudiziaria» quanto riscontrato. Cenci non perde tempo e il 14 gennaio convoca il responsabile del Servizio igiene degli alimenti (Sian) Franco Rebesan per quella che sembra una lavata di capo.
Ma non sono soltanto le Usl e qualche sindaco ad aver dovuto fa re marcia indi e t ro. La Coldiretti, ad esempio, ora ricorda che «nella zona contaminata bisognerà provvedere a controlli semestrali» e proprio per questo chiede «qualche aiuto dalla mano pubblica» per permettere agli agricoltori di pagare le analisi. Ma a gennaio 2015, il vicepresidente della Coldiretti vicentina, Claudio Zambon, parlava così delle ordinanze che vietavano di dar da bere agli animali utilizzando i pozzi privati: «Mi sembra davvero eccessivo, è una misura sproporzionata in quanto ad oggi non esiste alcuno studio che metta in relazione l’acqua con i Pfas nei limiti più restrittivi e il rischio per la salute umana». Messi di fronte alle analisi anche gli scettici hanno dovuto ricredersi. «La Regione ha sempre avuto chiaro che la situazione poteva essere potenzialmente molto pericolosa. Ma è evidente - ammette il dg Domenico Mantoan - che almeno all’inizio, per interessi diversi, da parte di qualche altro settore si è invece cercato di fare in modo che il problema passasse un po’ sotto silenzio».