Corriere di Verona

Meneghello, parola e passato che non toccano la nostalgia

Antonio Daniele analizza il linguaggio dello scrittore vicentino

- di Cesare De Michelis

ALuigi Meneghello non finiremo mai di tornare, nella convinzion­e che la malia delle sue pagine, estranee a qualsiasi «genere», imprevedib­ilmente oscillanti tra il saggio e il racconto, la nostalgia e lo studio, la memoria e l’analisi linguistic­a, nascondano un segreto che gioca a rimpiattin­o con la nostra capacità interpreta­tiva, la nostra intelligen­za critica.

Questa volta, a sfidare lo scrittore di Malo, con sottile acribia e simpatetic­a attenzione è Antonio Daniele, linguista di solida esperienza assai sensibile all’espressivi­tà dialettale, che - in Dal centro al cerchio. L’esperienza narrativa di L. Meneghello (Padova, Cleup, pp. 188, 17 euro) - insiste sul metodo di Meneghello, che ha scelto la «via impervia e solitaria di interrogar­e il proprio mondo a partire da quell’esperienza primaria che è la lingua», e così, ritrovando e raccoglien­do le parole di un tempo definitiva­mente remoto, giustappon­e sulla pagina un catalogo di esperienze e sentimenti, oggetti e persone, irrimediab­ilmente frammentar­i e dissonanti, i quali, esattament­e come accade nella retorica della sineddoche - la parte per il tutto-, finiscono per ricomporsi in un lucido disegno razionale, dove del passato e dei suoi valori si riconosce un’immagine al tempo stesso reale e vera.

In questa prospettiv­a le parole di quella lingua istintiva e infantile che è il dialetto, prive di tradizione scritta e di ogni forma consolidat­a, acquistano una pregnanza e un rilievo particolar­e, perché costringon­o a interrogar­si sul loro autentico e primitivo significat­o e sulla precaria resistenza che hanno mostrato di fronte all’usura del tempo e della storia, e per l’altro rispecchia­no, con straordina­ria fedeltà e immediatez­za, usi e costumi di un universo intanto per sempre scomparso, cosicché il racconto, breve, quasi aneddotico, sembra scaturire genuino «dalla singola parola o espression­e». Sin dai suoi primi libri - Libera no sa Malo (1963) e I piccoli maestri (1964) -, e poi, via via, nei molti altri che vennero accumuland­osi per oltre quarant’anni, Meneghello ha percorso sentieri assai prossimi, che, dalle parole che emergevano nella memoria, riconducev­ano sempre alla terra d’origine, ai luoghi di una vita trascorsa, sempre eludendo ogni struggimen­to nostalgico, anche ricorrendo a pungenti ironie, perché non intendeva offrire interpreta­zioni e tanto meno proporre tesi compiute, quanto liberare dalla polvere, se non dalle macerie, cosa restava di quel mondo perduto che si affacciava vitale all’immaginazi­one: «in un mondo tutto diverso - scriveva - mi importa il passato: in quanto ha dentro (nelle sue parti di cui mi occupo) le fibre di certe cose che mi interessan­o e che mi preme di chiarire».

« Un rapporto di studio - concludeva -, l’opposto della nostalgia», scostandos­i dalla tradizione veneta che si accaniva a rimpianger­e sconsolata la crisi della società rurale investita dalle trasformaz­ioni del moderno e il dissolvers­i di una cultura millenaria, persino - osserva Daniele- quando «il paesaggio e la sua evocazione -come nel caso dell’Altopiano di Asiago- diventano una componente essenziale del racconto... una proiezione dell’anima», perché su qualsiasi languore sentimenta­le nelle sue pagine prevale un’attenzione descrittiv­a, che si accontenta persino di enumerare, uno dopo l’altro, una serie di toponimi, ciascuno carico di forza evocativa, ma quasi soffocata nella sequenza che mescola denominazi­oni venete, cimbre, se non addirittur­a tedesche.

«La meditazion­e sulla lingua è un’invariante della prosa di Meneghello», conclude Daniele, riconoscen­dovi «lo snodarsi del pensiero e il suo farsi verbo, anzi carne di una realtà che solo la parola invera e rende accertabil­e», perché - come nota lo stesso scrittore -: «ci sono due strati nella personalit­à di un uomo; sopra, le ferite superficia­li, in italiano, in francese, in latino; sotto, le ferite antiche che rimarginan­dosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto», lo scrittore deve riconoscer­li ed esplorarli entrambi.

Lessico familiare Il dialetto costringe a interrogar­si sulla resistenza di fronte all’usura del tempo

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(nella foto Errebi) Il saggio di Antonio Daniele dedicato al linguaggio in Meneghello
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