LA CITTÀ «FORTEZZA» DI BITONCI
Tutto si potrà contestare al sindaco di Padova, il leghista Massimo Bitonci, salvo la mancanza di coerenza. Al contrario, ciò che colpisce nel suo operato è la possibilità di riconoscere in ogni atto della sua amministrazione la stessa ispirazione di fondo, il riproporsi di una linea costantemente ribadita, quali che siano gli ambiti nei quali si realizza il suo intervento. Per convincersene, è sufficiente riferirsi a ciò che è accaduto nelle ultime due settimane. Il Bitonci di questo scorcio d’estate si segnala anzitutto per il disciplinare, poi prontamente (anche se parzialmente) ritirato, col quale aveva deciso di impedire ai giornalisti il libero accesso in Comune. Qualche giorno dopo, agli onori della cronaca il primo cittadino di Padova è assurto per il litigio con Vittorio Sgarbi, motivato dalla decisione assunta (e poi rimangiata) dal critico d’arte ingaggiato da lui stesso, intenzionato a invitare Toni Negri al festival culturale che dovrebbe sostituire la Fiera delle parole. Infine, è delle ultime ore il comunicato col quale, in vista di una manifestazione regionale dei metalmeccanici, il sindaco ha espresso la sua solidarietà non ai lavoratori in lotta, ma ai commercianti, ai quali il corteo autorizzato porterebbe danni economici. Insomma, nel giro di pochi giorni, forse preoccupato dalla possibilità di un appannamento della sua immagine, Bitonci ha riconquistato le prime pagine dei giornali, riproponendosi come «sindaco sceriffo».
Sindaco sceriffo strenuo difensore della sua città dalle minacce rappresentate dalla presenza degli accattoni, dei migranti, dei giornalisti, degli intellettuali e degli operai.
Balza in primo piano, in maniera molto nitida, una concezione molto precisa dell’amministrazione, improntata al fastidio per il pluralismo, all’insofferenza verso il dissenso, al rifiuto della diversità, nelle varie forme in cui essa può esprimersi.
Il sogno (inconfessabile) del sindaco leghista è quello della città fortezza, impenetrabile dall’esterno, e disciplinata in modo rigido al suo interno, nella quale ogni manifestazione di dissenso sia prontamente repressa, o meglio ancora sia preventivamente impedita.
Una città inospitale e blindata, nella quale sia di fatto impossibile disturbare il manovratore, soprattutto se il disturbo rischia di compromettere alcune manovre che più di qualcuno ritiene non propriamente cristalline, come quelle in corso per la costruzione del nuovo ospedale o per la sistemazione dello stadio. Una città nella quale l’attività dei commercianti – di per sé ovviamente del tutto legittima – sia innalzata a pratica religiosa, con la quale sia proibito interferire anche se solo in maniera marginale. Una città dominata dal pensiero unico, e dunque da un non-pensiero, protesa a cancellare ogni manifestazione di diversità, pur se espressa in termini elementari.
Non c’è bisogno di sottolineare che una città così concepita è destinata ad un rapido e inevitabile processo di involuzione, ad un decadimento che già fin d’ora è possibile cogliere, sia pure allo stato nascente, in molti aspetti della vita cittadina. La vita è conflitto, lo sviluppo presuppone le differenze, il progresso è inseparabile dalla competizione. Se ne convinca Bitonci, prima che sia troppo tardi per strappare Padova da un destino di irreparabile decadenza.