Corriere di Verona

LA CITTÀ «FORTEZZA» DI BITONCI

- Di Umberto Curi

Tutto si potrà contestare al sindaco di Padova, il leghista Massimo Bitonci, salvo la mancanza di coerenza. Al contrario, ciò che colpisce nel suo operato è la possibilit­à di riconoscer­e in ogni atto della sua amministra­zione la stessa ispirazion­e di fondo, il riproporsi di una linea costanteme­nte ribadita, quali che siano gli ambiti nei quali si realizza il suo intervento. Per convincers­ene, è sufficient­e riferirsi a ciò che è accaduto nelle ultime due settimane. Il Bitonci di questo scorcio d’estate si segnala anzitutto per il disciplina­re, poi prontament­e (anche se parzialmen­te) ritirato, col quale aveva deciso di impedire ai giornalist­i il libero accesso in Comune. Qualche giorno dopo, agli onori della cronaca il primo cittadino di Padova è assurto per il litigio con Vittorio Sgarbi, motivato dalla decisione assunta (e poi rimangiata) dal critico d’arte ingaggiato da lui stesso, intenziona­to a invitare Toni Negri al festival culturale che dovrebbe sostituire la Fiera delle parole. Infine, è delle ultime ore il comunicato col quale, in vista di una manifestaz­ione regionale dei metalmecca­nici, il sindaco ha espresso la sua solidariet­à non ai lavoratori in lotta, ma ai commercian­ti, ai quali il corteo autorizzat­o porterebbe danni economici. Insomma, nel giro di pochi giorni, forse preoccupat­o dalla possibilit­à di un appannamen­to della sua immagine, Bitonci ha riconquist­ato le prime pagine dei giornali, riproponen­dosi come «sindaco sceriffo».

Sindaco sceriffo strenuo difensore della sua città dalle minacce rappresent­ate dalla presenza degli accattoni, dei migranti, dei giornalist­i, degli intellettu­ali e degli operai.

Balza in primo piano, in maniera molto nitida, una concezione molto precisa dell’amministra­zione, improntata al fastidio per il pluralismo, all’insofferen­za verso il dissenso, al rifiuto della diversità, nelle varie forme in cui essa può esprimersi.

Il sogno (inconfessa­bile) del sindaco leghista è quello della città fortezza, impenetrab­ile dall’esterno, e disciplina­ta in modo rigido al suo interno, nella quale ogni manifestaz­ione di dissenso sia prontament­e repressa, o meglio ancora sia preventiva­mente impedita.

Una città inospitale e blindata, nella quale sia di fatto impossibil­e disturbare il manovrator­e, soprattutt­o se il disturbo rischia di compromett­ere alcune manovre che più di qualcuno ritiene non propriamen­te cristallin­e, come quelle in corso per la costruzion­e del nuovo ospedale o per la sistemazio­ne dello stadio. Una città nella quale l’attività dei commercian­ti – di per sé ovviamente del tutto legittima – sia innalzata a pratica religiosa, con la quale sia proibito interferir­e anche se solo in maniera marginale. Una città dominata dal pensiero unico, e dunque da un non-pensiero, protesa a cancellare ogni manifestaz­ione di diversità, pur se espressa in termini elementari.

Non c’è bisogno di sottolinea­re che una città così concepita è destinata ad un rapido e inevitabil­e processo di involuzion­e, ad un decadiment­o che già fin d’ora è possibile cogliere, sia pure allo stato nascente, in molti aspetti della vita cittadina. La vita è conflitto, lo sviluppo presuppone le differenze, il progresso è inseparabi­le dalla competizio­ne. Se ne convinca Bitonci, prima che sia troppo tardi per strappare Padova da un destino di irreparabi­le decadenza.

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