Foto dei pazienti su Twitter? Non è reato
Prosciolto Comandante Diavolo, il medico di Borgo Roma che postava i referti sui social
VERONA Pubblicare foto e diagnosi di pazienti sui social network? Se non c’è il loro nome, non sono riconoscibili e dunque non si configura a carico del medico che ha postato dati tanto «sensibili» sul web alcun reato penale. All’ex Mastino si è chiuso così, con l’archiviazione di ogni accusa, lo scandalo deflagrato un anno fa al Pronto Soccorso di Borgo Roma: facendosi chiamare su Twitter Comandante Diavolo, una dottoressa «metteva in piazza» sui social immagini riservate.
VERONA Pubblicare foto e diagnosi di pazienti sui social network? Se non c’è il loro nome, non sono riconoscibili e dunque non si configura a carico del medico che ha postato dati tanto «sensibili» sul web alcun reato penale. All’ex Mastino si è chiuso così, con l’archiviazione di ogni accusa, lo scandalo deflagrato esattamente un anno fa al Pronto Soccorso di Borgo Roma: facendosi chiamare su Twitter Comandante Diavolo, da circa un anno una dottoressa «metteva in piazza» sui social immagini riservate e intere anamnesi di persone in cura all’ospedale.E la polemica, che investì anche la politica innescando un’interrogazione parlamentare, esplose immediata: informazioni personali postate su internet, alla mercé di chiunque navigasse in Rete.
Mettendo in pericolo la privacy delle persone che si recavano al Pronto Soccorso e rischiando di compromettere il diritto- dovere di riservatezza su cui dovrebbe vertere ogni relazione paziente-medico.
Nel ben mezzo dell’estate scorsa, la tempesta aveva investito l’Azienda ospedaliera e in procura era subito stato presentato un esposto-denuncia dal direttore generale dell’Azienda Francesco Cobello. Immediato l’intervento del procuratore Mario Giulio Schinaia: «Un fatto che non doveva succedere. Non è ammissibile che i dati di un paziente vengano sbattuti su internet - tuonò -. La legge parla chiaro. E qui è stata violata».Fu proprio il capo della procura ad aprire un fascicolo d’inchiesta che ha poi delegato al sostituto Valeria Ardito. Due le ipotesi di reato ipotizzate dal pm nei confronti del medico: rivelazione di segreto professionale e trattamento illecito di dati previsto dall’articolo 167 della legge sulla privacy.
Difesa dagli avvocati Nicola Avanzi e Marianna Piva, la dottoressa nel corso delle indagini preliminari subì il sequestro del computer e del cellulare che nel frattempo le sono stati restituiti. Sul fronte interno dell’Azienda, in parallelo con l’inchiesta penale, il medico venne sottoposto a un procedimento disciplinare, culminato in una sospensione di due mesi. E adesso che è tornata regolarmente al lavoro al Policlinico, la dottoressa vede concludersi anche il filone penale che la vedeva indagata.
Di fatto, non avrebbe potuto sperare in una conclusione migliore, visto che tutte le accuse mosse a suo carico sono state archiviate prima dalla procura (che ha appunto chiuso l’inchiesta con una richiesta di archiviazione) e poi dal gip (la decisione è stata assunta dal giudice per le indagini preliminari Guido Taramelli). Accolte quindi le tesi dei difensori Avanzi e Piva: non essendoci nomi e cognomi dei diretti interessati, ovvero i pazienti a cui si riferivano immagini e diagnosi, non avrebbe potuto esserne compromessa la privacy o violata l’esigenza riservatezza. Nessuno si è opposto alla richiesta di archiviazione, neppure l’Azienda ospedaliera da cui era partito l’esposto-denuncia. Appena un mese fa, il caso era finito anche in Parlamento con il ministro alla Salute Beatrice Lorenzin che, rispondendo all’interrogazione del senatore dell’Udc, Antonio De Poli, ha relazionato in Aula proprio sulla condotta della dottoressa veronese che per quasi un anno, da dicembre 2014 fino a settembre 2015 ha messo online foto di pazienti, postandole su Twitter con tanto di commenti(l’indirizzo era @frankytrash) e raggiungendo un totale di duemila tra foto e video che ritraevano scene di ordinaria vita e lavoro in corsia. A che scopo? Negli intenti del medico, ci sarebbe stata la volontà di denunciare quanto spesso ci si rivolga al pronto soccorso dell’ospedale senza averne realmente bisogno. Una finalità, dunque, tra il sarcastico e l’ironico. La Giustizia le ha dato ragione. Scagionandola da ogni reato.