Don Torta denuncia le (presunte) complicità della «Treviso che conta» Piovono le smentite
TREVISO All’ombra di Veneto Banca c’era «un’associazione per delinquere che ha operato per anni con lo scopo di ricavare ingentissimi utili personali a danno della banca, dei soci e dei clienti, a discapito di una intera comunità che è stata inesorabilmente colpita non solo nei propri interessi economici - assai spesso sudati risparmi frutto di anni di economie - ma anche nella fiducia in una istituzione profondamente radicata nei cuori e nelle menti». È un passo dell’esposto presentato alla procura della repubblica di Treviso e firmato da don Enrico Torta, il prete della periferia di Mestre divenuto «capo-popolo» nella protesta degli azionisti che hanno subìto il crollo delle Popolari venete. Dietro al sacerdote e alla sua denuncia, quindi, migliaia di risparmiatori che si sentono truffati dall’istituto di credito con sede a Montebelluna.
Nell’esposto si fanno decine di nomi, dai vertici (passati e attuali) di Veneto Banca ai grandi manager, da ex esponenti della guardia di finanza fino a un vice primo ministro spagnolo. In pratica, mezza Treviso «che conta» avrebbe avuto un ruolo nell’impoverimento dell’istituto di credito.
Nella denuncia, alla quale sono allegate oltre cento pagine di documenti, si ipotizzano intrecci immobiliari (con personaggi che avrebbero speculato sui passaggi di proprietà) e fondi trasferiti all’estero, magari in paradisi fiscali. Si parla anche dell’ipotesi che la dirigenza si sia servita di una banca moldava per portare denaro oltre confine. E don Torta si interroga su dove provengano quei soldi, ma anche «sulla funzione delle società e sulla intervenuta segnalazione al Fisco italiano delle disponibilità patrimoniali».
Le prime indiscrezioni sul contenuto dell’esposto, trapelate ieri, hanno suscitato le secche smentite dei diretti interessati. A cominciare dall’attuale Dg di Veneto Banca, Cristiano Carrus, al quale si attribuirebbero proprietà all’estero: «Smentisco radicalmente di essere intestatario di alcun cespite all’estero - beni mobiliari e immobiliari, compresi conti correnti – a nome mio, dei miei familiari o tramite strutture societarie».
Su Vincenzo Consoli, invece, si fa riferimento (tra le altre cose) a un collegamento con una società panamense. Anche l’ex Ad nega tutto: «Non ho mai fatto “creste su transazioni immobiliari”, non ho conti correnti e attività all’estero né come partecipazione diretta né per interposta persona. Non ho mai conosciuto il vice primo ministro spagnolo e non partecipo a società di diritto panamense». Infine, parlando della banca moldava, sostiene che «non ha mai svolto attività di “esportazione” di denaro in frode alla legge».
Tra i nomi che compaiono nella denuncia, figurerebbe anche quello dell’attuale vicepresidente Giovanni Schiavon, che liquida le indiscrezioni trapelate ieri come «l’ennesima balla e aggressione mediatica che mi costringe a proporre ulteriori querele. Non ho avuto mai beni all’estero e non ho mai avuto occasione di interferire sulla conduzione della banca, se non dal 5 maggio scorso, quando sono entrato nel Consiglio di amministrazione. Non è tollerabile che certi cialtroni si permettano di infangare l’onestà dei cittadini; li sfido tutti a dimostrare la veridicità di almeno una briciola di ciò che hanno scritto».
Interviene anche l’ex vicepresidente Franco Antiga: l’esposto lo indicherebbe come titolare di attività all’estero. Il suo avvocato fa sapere che «Antiga è proprietario della sua abitazione, di un’auto, ed è titolare della quota di partecipazione in una società di famiglia. Non ha proprietà all’estero e, al di là del gettone percepito quale amministratore, non ha mai tratto alcun beneficio da Veneto Banca p dalla banca Italo-Romena».