Vendemmia vicina e torna la guerra dell’Amarone
«Famiglie», vignaioli indipendenti e agricoltori contro il Consorzio Ma il presidente: «Scelte necessarie per l’equilibrio del mercato»
Brilla un sole caldo sulla Valpolicella. Dopo l’anticipo di bella stagione di aprile e le piogge di maggio non sarà l’annata perfetta per l’Amarone. Ma se agosto non tradirà, la vendemmia di fine settembre potrebbe portare quasi venti milioni di bottiglie nelle cantine. Ma non sarà una raccolta serena, è ufficialmente esplosa la guerra dell’Amarone. Sabrina Tedeschi, presidente de «Le Famiglie dell’Amarone d’Arte» (13 aziende storiche, due milioni di bottiglie in tutto), è pronta alla battaglia contro il Consorzio che vuole equilibrare le richieste del mercato e la produzione. «Dobbiamo cambiare il disciplinare e valorizzare la collina», dice. «Se la Regione accetta la cernita del 40% siamo pronti al ricorso al Tar. Non ha senso bloccare un mercato florido, perdiamo clienti».
Calici di veleno, dunque, e non certo di nettare dal colore granato come ci si aspetterebbe nelle sacre colline dei rossi veronesi. Una polemica, peraltro, che clona quella del 2014, quando la cernita, ossia la parte di uve destinate all’appassimento per la produzione di Recioto e Amarone, fu fissata in vigneto al 35% in seguito ad un anno terribile di maltempo (il disciplinare del 1968 prevede un massimo del 65%). Ma per capire gli interessi in gioco serve dare alcuni numeri. La produzione di Amarone cambia ogni anno: era di circa 15 milioni di bottiglie nel 2013, di 11 nel 2014 e di 19 lo scorso anno. Il mercato, invece, cresce del 3-4% ogni anno ma la richiesta media è sempre di circa 15 milioni di bottiglie. I dati sono di Siquria (Società italiana per la qualità e la rintracciabilità degli alimenti) che si occupa del controllo e della certificazione dei vini della Valpolicella. Numeri confermati anche nei primi sette mesi dell’anno, che fanno da contraltare alla decrescita di Ripasso (-7%) e Valpolicella (-5%). Christian Marchesini è il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella. «Abbiamo 7.800 ettari in produzione, per questo abbiamo deciso di portare la cernita al 40% per equilibrare il mercato», dice. «Stimiamo una vendemmia da venti milioni di bottiglie: si poteva abbassare l’asticella persino al 30%».
Una visione, questa, che fa infuriare le Famiglie dell’Amarone, che notoriamente hanno leve commerciali fortissime e dunque si trovano a vendere tutte le proprie bottiglie. Tedeschi: «Bisogna ripensare il disciplinare se ogni anno siamo costretti ad interventi di questo genere», tuona. «E poi: abbiamo uno studio del professore Davide Gaeta dell’Università di Verona che dimostra che i prezzi non cambiano necessariamente all’aumentare della produzione». Stessa linea anche per le 54 aziende della Fivi, ossia i vignaioli indipendenti (450 mila bottiglie in tutto), rappresentati in Valpolicella da Alessandro Castellani. «Questa è una grande annata, non ha senso limitare la produzione: e se l’anno prossimo grandinasse? Le giacenze delle piccole aziende non modificano il mercato, tanto meno per vini come questi che possono stare in bottiglia anche venti o trent’anni. Piuttosto, pensiamo a valorizzare le vigne antiche: non esce certo un buon Amarone se il vigneto ha solo tre anni di vita».
Dal punto di vista tecnico, la proposta del Consorzio, depositata un paio di settimane fa all’ufficio competente per la viticoltura della Regione Veneto, sarà pubblicata sul Bur forse già oggi. Ma nel «tour» di pareri con le categorie non ha ottenuto consensi unanimi. Uno dei «no» ad esempio porta la firma della sezione viticoltori di Confagricoltura Verona, il loro presidente è Luciano Piona (che per inciso è pure leader del Consorzio Custoza). «La riduzione al 50% sarebbe stata più che sufficiente», dice. «Altrimenti perdiamo quote di mercato: se un wine lover vuole una certa etichetta, o la trova o si compera un vino differente. Non è detto vada da un altro produttore dello stesso vino».
Nell’attesa che si consumi la nuova guerra dell’Amarone, l’ultima considerazione spetta a Daniele Accordini, enologo della cantina Cooperativa (230 soci, 700 ettari di vigneti in prevalenza nelle colline della Valpolicella Classica, oltre 34 milioni di euro di fatturato), nonché direttore generale di Cantina Valpolicella Negrar. «La mia preoccupazione è anche legata al Valpolicella. Se tutti producono Amarone, non resterà più vino per il Valpolicella, perché a tutti converrà investire nel Ripasso. Stiamo rischiando di perdere il Valpolicella per soddisfare le richieste dell’Amarone. E il Consorzio deve invece difendere tutta la denominazione».