Corriere di Verona

Rio, la spinta delle medaglie d’oro venete «Alzate l’asticella, è l’occasione della vita»

Da Bordin a Di Donna, i consigli dei campioni a chi andrà alle Olimpiadi

- Nicola Munaro

È un bottino di sessantaqu­attro medaglie d’oro quello che il Veneto ha portato in dote all’Italia nelle trenta olimpiadi dell’era moderna, comprese le edizioni invernali. Regione più prolifica di sempre per il Coni. Il percorso è lungo, dal primo oro nel 1920 ad Anversa - quando il veneziano di Portogruar­o Abelardo Olivier conquista due medaglie nelle prove a squadre di spada e fioretto e il padovano Federico Secondo Cesarano si consegna alla storia di Olimpia nella sciabola - fino all’ultimo trionfo in ordine di tempo firmato a Londra, quattro anni fa, da Marco Galiazzo nel tiro con l’arco a squadre. Passando per le imprese della veronese Sara Simeoni a Mosca nel 1980 (salto in alto), il doppio oro nel fioretto del mestrino Mauro Numa (individual­e e squadra a Los Angeles 1984) come doppio oro fu quello della veronese Paola Pezzo nella mountain bike: Atlanta ‘96 e Sydney 2000.

Adesso, nei giorni in cui un altro sogno olimpico sta nascendo, sono quegli stessi ori, quegli atleti che una gara perfetta ha trasformat­o in un amen da «olimpici» in «olimpionic­i», a fare il tifo per i veneti che da domani vestiranno l’azzurro nella rassegna più importante che c’è.

«Mettete l’asticella molto in alto. C’è solo un posto e capita raramente nella vita. In quei momenti bisogna essere disposti a mettere tutto in discussion­e. Forza ragazzi». Gelindo Bordin oggi ha 57 anni ed è ancora l’uomo immagine dell’atletica «di fatica». Il suo nome è legato indissolub­ilmente a Seoul: era il 1988 e lui, vicentino di Longare, si chinava sulla pista d’atletica.

Tutto aveva dato anche Daniele Scarpa. Veneziano, giusto giusto vent’anni fa, nel bacino americano di Atlanta (il 3 agosto 1996) assieme ad Antonio Rossi scriveva la storia: primo italiano a portare a casa la medaglia più preziosa nella canoa K2. «Vincere un oro è il sogno di ogni atleta», racconta oggi, che si vuole candidare alla guida della federazion­e italiana di canoa. «Essere il primo che vince un oro in una specialità però non si può spiegare: ti rende immortale. L’augurio è che i nostri ragazzi portino in alto ancora un volta il Veneto e vivano un’esperienza come quella vissuta da me e Antoni ad Atlanta».

Nella stessa edizione dei giochi anche l’oro nella pistola ad aria compresa del veronese Roberto Di Donna: «Vincere un’olimpiade ti cambia la vita. Noi veneti siamo ben carrozzati. Chissà che la duecentesi­ma medaglia d’oro italiana alle olimpiadi sia proprio veneta».

C’è poi chi, come il padovano Rossano Galtarossa, il villaggio olimpico lo vedrà con gli atleti delle Paralimpia­di, accompagna­tore della federazion­e di canottaggi­o. Lui la corona d’alloro se l’è guadagnata a Sydney, nel 2000. Quattro di coppia, una gara infinita in uno sport che ha visto gli italiani eccellere quasi sempre.

«Ai ragazzi che vestono l’azzurro va un grande in bocca al lupo - è l’augurio di Galtarossa -. Devono prefissars­i un unico obiettivo, quello di fare la prestazion­e della vita e poi avere la fortuna che non ci siano intoppi. Se invece alla fine qualcuno è stato più bravo, allora lì vince lo spirito olimpico».

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