Benvenuti a Monteforte il paese «dominato» dai Sikh
A Monteforte d’Alpone il cognome più diffuso è Singh, comune a tutti gli indiani della religione del Punjab. Una storia di integrazione e oggi anche di crisi (economica)
Singh, ovvero «leone» in sanscrito, è ufficialmente il primo cognome a Monteforte d’Alpone, dove ha superato il «locale» Tessari. Quarto in classifica Kaur, «principessa», la sua variante femminile. Sono quelli adottati dalla comunità Sikh, popolosa nell’Est Veronese. La loro è una storia di integrazione, ma ora avvertono la crisi economica. E alcuni pensano di emigrare una seconda volta
Singh vuol dire leone, Kaur significa principessa. Nella comunità indiana Sikh usa così, per tutti, senza distinzione: Singh è il cognome degli uomini, Kaur quello delle donne. Di leoni e principesse è pieno il mondo, a Monteforte d’Alpone, est veronese che guarda a Vicenza, 8.882 residenti di cui il 15 per cento stranieri (Romania, India, Marocco il podio). Fuori dal kebabbaro consuma il suo pranzo Sane Singh, 26 anni. «Muratore. In Italia dal 2012. Prima di Monteforte vivevo a Milano». Il suo amico si chiama Lakhvinden, 29 anni. «Io lavoro in fabbrica». All’ingresso dell’ufficio anagrafe Baljinder Singh, 39 anni, rilegge le carte. «Sto avviando le pratiche per la cittadinanza italiana. Faccio l’operaio. Sono arrivato da voi nel ’98: prima tappa Reggio Calabria, ora Monteforte». È proprio l’anagrafe a seminare la traccia. Nell’aggiornare le voci demografiche, Mario Almari, il dipendente comunale, s’è accorto che a Monteforte il cognome Singh (i leoni, 221 risultati) ha superato i Tessari (217) e Bogoni (195) mentre il cognome Kaur (le principesse, 155) occupa il quarto gradino. Chiaro: non sono cognomi veri e propri, vincere così è facile. Ma è anche facile, a Monteforte, accorgersi della presenza, discreta e silenziosa, di questi uomini col turbante e donne col ghra (il braccialetto Sikh) che griffano almeno un centinaio di nuclei familiari, passano molto tempo fra di loro, si spostano ogni domenica nel tempio di San Bonifacio per leggere il testo sacro (Guru Granth Sahib Ji) e, come alzano le spalle gli autoctoni ai tavolini del bar, «sono tranquilli, non rompono, parlano abbastanza bene l’italiano e lavorano». Lavorano soprattutto nelle concerie del Vicentino, i Singh. Facendo avanti e indietro perché a Monteforte gli alloggi sono a buon mercato. Storie tese con l’autorità coloniale britannica prima, e con la popolazione induista poi, i Sikh che lasciano l’India (in Italia ne sono arrivati 60mila) sono un ampio capitolo d’emigrazione. «Prime tracce d’indiani Sikh a Monteforte nel ’96 - ricostruiscono dal Comune - Poi il boom generale d’immigrati, tra 2000 e 2005, coinciso col boom edile nelle costruzioni. Fin da subito la maggior parte dei Sikh, provenienti dallo stato del Punjab, erano operai delle concerie vicentine. In numerosi hanno preso la cittadinanza. Occhio, però, perché adesso, con la crisi del settore, c’è chi pensa di andarsene».
Ci sta pensando, ad esempio, il papà di Komalpreet, ragazzina che si racconta in un italiano sciolto e, come ogni Sikh, può dire d’aver condiviso con tutta Monteforte l’ora buia e drammatica dell’alluvione 2010. «Sono nata in India, ma vivo qui da dieci anni e dunque risulto italiana. Nel mio palazzo c’erano molti Singh che hanno lasciato Monteforte, altri lo faranno per trasferirsi in Inghilterra. Gli operai non trovano lavoro in conceria come una volta e nei campi spesso è tutto troppo pesante». Komalpreet ha studiato sui banchi del paese, scuola primaria «Bruno Anzolin» (del pedagogista e poeta montefortiano è appesa in corridoio la «Ballata dell’Alpone») e scuola media «Giacomo Zanella».
Nell’elenco delle insegnanti elementari figura Adriana Valenti, vicesindaco e assessore ai Servizi sociali. «Ho tanti bambini Sikh, in classe, e tanti di bravi, soprattutto in matematica, materia per cui sono portati. Nonostante fra le mura domestiche si parli rigorosamente l’indiano, con la nostra lingua s’impegnano e apprendono. Gente seria e collaborativa, in generale. All’ultima Festa della Donna, qui a Monteforte, hanno preparato un pranzo coi loro piatti tradizionali, quindi ci hanno mostrato i balli Sikh. Per la comunità è una bella presenza, ci troviamo davvero bene, si sono integrati e hai la sensazione, se li inviti, che provino piacere nel farsi conoscere». Il preside, Giuseppe Boninsegna, dice: «A Natale i Sikh partecipano a tutte le attività collegate con la nostra cultura, compreso l’allestimento del presepe. È una convivenza rispettosa, che non dà problemi. Famiglie collaborative, non pongono ostacoli, si sforzano con l’italiano facendosi aiutare dai mediatori. I supporti sono soprattutto tre: la parrocchia aiuta nei compiti pomeridiani, un esperto del Cestim dà un’ulteriore mano con la nostra lingua, infine i corsi di recupero finanziati dallo Stato. Certo: gli stranieri a Monteforte abbondano, in certe classi toccano il 50 per cento e i problemi, organizzativi e didattici, ci sono, ma li sperimentiamo da almeno 4-5 anni e sappiamo come affrontarli».
L’altro problema che sta affrontando Monteforte è la crisi. Il cuore del paese è il rettilineo di via Dante Alighieri e lì, dove si fanno spesa, acquisti e qualche bevuta, parecchie attività chiudono, o vanno male. Il vociare al Bar da Gigi è un buon termometro. «Per quelli della zona eravamo “il paese dei balocchi”. Oggi Monteforte è un posto che avrebbe bisogno di più eventi, serate, mercatini, iniziative che richiamino gente». E intanto, lì vicino, c’è la bottega di Sharma. Aperta undici anni fa, leoni e principesse Sikh ci fanno la spesa indiana e vi affidano i soldi da spedire a casa col money-transfer. Il cognome del mittente, alla fine, è sempre quello: Singh o Kaur.