Corriere di Verona

RICHIESTE D’ASILO, IL «RIBALTONE» DEI GIUDICI

I dati della commission­e veronese. In un anno e mezzo vagliate 3.300 istanze, la maggior parte respinte

- Petronio e Presazzi

Oltre 3.300 istanze esaminate in un anno e mezzo. Di queste il 70 per cento respinto. Ma il dato che fa riflettere sul lavoro della commission­e che a Verona esamina le richieste per lo status di «profugo» è un altro. Perché per quanto riguarda i ricorsi sui dinieghi, il 75 per cento viene accolto dai giudici civili. «Hanno parametri diversi», spiega l’esperto.

Per qualcuno sono quelli dai «35 euro al giorno». Migranti che qui vengono soppesati in base al loro «costo» giornalier­o. Li chiamano «profughi». In realtà non sono neanche quello. Perché quello di «profugo» è uno status successivo a quel limbo geografico e burocratic­o in qui vivono loro. Sono «richiedent­i asilo». Uomini, donne e bambini in attesa che qualcuno dia loro una definizion­e giuridica. Spiaggiati prima nei centri d’accoglienz­a. Spiaggiati poi nelle strutture «ricettive». Spiaggiati infine in quelle commission­i che quello «status» lo devono determinar­e. È nata a febbraio del 2015, la commission­e «territoria­le per il riconoscim­ento della protezione internazio­nale» di Verona. E appena partorita ha avuto in dote 1.800 istanze da quella di Gorizia.

«Da allora - spiega la presidente, il viceprefet­to Maria Teresa Pirrone - ne abbiamo esaminate circa 3.300». Gocce nel mare di una commission­e che ha competenza anche su Belluno, Bolzano, Trento, Treviso e Vicenza e che si avvale di «sottocommi­ssioni» che sono panacee, ma non curano il male. In questi giorni su quei tavoli -composti da rappresent­anti della polizia, del Comune e dell’Alto commissari­ato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - arrivano le pratiche di persone arrivate in Italia 15 mesi fa. Oltre un anno di «limbo». Per poi, spesso e volentieri, sentirsi dire che no, che quei requisiti richiesti non ci sono. E che quella istanza per la quale si è aspettato oltre un anno è nulla. Cosa che prevede l’uscita da tutti i programmi assistenzi­ali. «In media continua il viceprefet­to Pirrone - il 14% ottiene lo status di protezione internazio­nale e un 13,5 per cento quello per le emergenze umanitari. I rigetti sono oltre il 70 per cento». Dinieghi da capogiro. «Di questi almeno il 10 per cento sono per irreperibi­lità». Perché gli «invisibili» della burocrazia, lo diventano della vita. Escono dai programmi. Chi per andare all’estero. Chi per mordere il freno di una clandestin­ità che diventa, fino a quando va bene, fonte di guadagno legata alla criminalit­à. Qualcuno di loro davanti alla commission­e si ripresenta. Con un iter da riprendere dall’inizio. Domanda da rifare, allegare il permesso di soggiorno, andare all’ufficio stranieri della questura che poi trasmetter­à il tutto alla prefettura. Scolliname­nto burocratic­o che spesso viene fatto con l’ausilio degli educatori che seguono i richiedent­i asilo nelle strutture e che è quasi impossibil­e da seguire per chi in quel cerchio non rientra. Sulle 3.300 istanze «evase» finora dalla commission­e veronese i ricorsi presentati sono stati circa ottocento. Finiscono davanti al giudice civile di Venezia o di Trento, competenti territoria­lmente. Circa 170 hanno avuto un esito. «Nel 75 per cento dei casi conferma la presidente - i magistrati decidono di dare una forma di protezione». Vale a dire che quei dinieghi sanciti in commission­e vengono rigettati e baipassati dalle toghe. Di quel 75 per cento oltre la metà viene accolta con la formula della protezione umanitaria. Perché per avere lo status di «rifugiato» la commission­e si deve attenere alla formula che lo vede concedere solo a coloro che, nel Paese di provenienz­a, hanno subìto persecuzio­ni dirette e personali «per motivi di razza, religione, nazionalit­à, appartenen­za a un determinat­o gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche, ovvero hanno fondato e ragionevol­e timore di subire tali persecuzio­ni nel caso in vi facciano ritorno». Ha trenta giorni di tempo, chi se lo vede rifiutare, per fare ricorso. E il tribunale per molti diventa la seconda strada per uscire dall’invisibili­tà.

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