L’esibizionista e il terrore il sottile confine della follia
Nudo, il contrario di armato. Sembrava un innocuo esibizionista da stadio, di quelli che rincorri con l’occhio mentre i giocatori tengono le mani sui fianchi e la partita si ferma. Quelli che una volta placcati dallo steward escono acclamati dalla folla tra le risate.
Invece non ha riso nessuno perché questo tunisino gridava «Allah Akbar», che letteralmente vuol dire solo «Dio è grande» ma in questo periodo vuol dire molto di più. Perlomeno se gridato a squarciagola tra i passanti di una piazza silenziosa e sonnolente che vive i ritmi lenti del caldo d’agosto. Il grido, quel grido, basta ad alimentare la paura e crea contatti emotivi con gli attentati. Ecco perché ancor prima d’interrogarsi sul reale pericolo rappresentato da questo tunisino, l’idea che sia stato rinchiuso in un Centro clandestini (Cie) e prossimo all’espulsione per ordine del questore di Padova tranquillizza tutti.
Prendiamo a prestito il pensiero del professor Stefano Allievi, sociologo delle religioni, e riflettiamo sulla possibilità che la grande paura ci porti a sovraislamizzare l’interpretazione dei fatti e a sovrasemantizzare le parole di questi individui. Del resto il ragazzo non aveva fatto né detto nulla di terroristico. Era tuttavia un uomo con precedenti, anche violenti, e soprattutto un uomo che dava da tempo segni di squilibrio. Un uomo che in un momento di delirio ha verbalizzato la sua fede islamica con chiaro intento di creare tensione. E partendo da questi indizi si possono comprendere anche i ragionamenti fatti dalla questura padovana,visto che le ricostruzioni investigative delle polizie europee hanno rilevato nel passato di molti terroristi il segno della malattia mentale: psicotici, schizofrenici, mitomani, addirittura con tendenze suicide. Gente con la «guerra dentro», bombe umane pronte a esplodere già prima di radicalizzarsi e fare una scelta che in molti casi ha un tempo di incubazione relativamente breve.
Oggi il terrorismo islamico sembra aver trovato la strada per parlare ai folli e sa come scaraventarli contro la civiltà. C’è qualcosa e qualcuno che sta dissotterrando queste bombe umane abbandonate, residuati di oscure guerre interiori, e riesce a farle deflagrare. Questo ci spaventa e da questo tentiamo di proteggerci. Già, ma come? Sono scelte difficili e la prassi ci dice che oggi le polizie hanno abbassato l’asticella: il turco con la mannaia alla stazione di Venezia, il magrebino che ha rotto il crocifisso, ora il tunisino in Prato della valle, sono tutti stati allontanati a scopo precauzionale.
Eppure fra questi due estremi, l’esibizionista e il potenziale alfiere del terrore, c’è un abisso. Ma è una distanza difficile da leggere. In questo clima di tensione il confine diventa sottile e la linea della follia imperscrutabile. La nostra «fortuna», nostra nel senso di semplici cittadini, è che l’esame di questi casi spetta alle forze deputate a vegliare sulla nostra sicurezza e alla magistratura (quand’anche in disaccordo). Il giudizio spetta a loro e soltanto a loro.