Corriere di Verona

«I magistrati valutano con parametri diversi, ma anche in aula i tempi sono troppo lunghi»

- di Enrico Presazzi

Il «purgatorio» può avere tempi lunghissim­i. Lo sa bene l’avvocato Enrico Varali, referente veneto dell’Associazio­ne per gli studi giuridici sull’immigrazio­ne (Asgi), che in questi anni ha seguito molti dei ricorsi presentati dai profughi che si erano visti bocciare le proprie richieste di protezione internazio­nale davanti alla commission­e di Verona.

Avvocato Varali, quali sono i tempi medi di attesa per chi impugna il rigetto della commission­e?

«A Venezia, tribunale competente per questo genere di ricorsi, la mole di lavoro è impression­ante e i tempi di attesa si stanno sempre più allungando. Per fare un esempio, nel caso di un ricorso depositato in questi giorni, la prima udienza verrebbe fissata tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018».

Nel frattempo il profugo conserva il diritto di accoglienz­a nelle strutture?

«Sì, è la legge a prevedere che questo accada. E come ha più volte ricordato la prefettura, sono molto poche le amministra­zioni locali che nel Veronese hanno dato disponibil­ità in termini di accoglienz­a. Così la stessa accoglienz­a è gestita necessaria­mente con il sistema straordina­rio con affidament­o a cooperativ­e e privati che poi inevitabil­mente stanno sul territorio e vengono contestati dai sindaci. Però non è vero che tutti i richiedent­i protezione internazio­nale vengono accolti nelle strutture: il meccanismo funziona “in automatico” per quelli che arrivano con gli sbarchi. Ma per chi arriva via terra, attraverso la via balcanica o la Grecia, come pakistani, afghani e bengalesi, una volta passati in questura per presentare domanda di protezione, molto spesso non vengono inseriti nel sistema di accoglienz­a, lasciati al loro destino in attesa dell’esame della commission­e. Fortunatam­ente lo sportello del Comune di Verona funziona ottimament­e e riesce a fornire tutti i consigli del caso a chi si trova in questa situazione».

Lei ha assistito già molti cittadini stranieri nei loro ricorsi, come mai il verdetto a Venezia ribalta quasi sempre quello della Commission­e?

«Non c’è una spiegazion­e scientific­a, ma posso portare come esempio alcuni casi concreti che ho seguito. A Verona in passato sono sempre stati respinti i ricorsi di cittadini maliani mentre a Venezia riconoscev­ano quasi “in automatico” la protezione sussidiari­a tenendo conto della guerra civile in atto nel Paese. Caso simile anche per quel che riguarda i cittadini pakistani provenient­i dalla regione del Kashmir o i provenient­i dal Gambia che fuggono dal regime dittatoria­le di Yahya Jammeh».

Una diversità di analisi decisament­e evidente…

«Mi è capitato anche il caso di due parenti pakistani che avevano una storia sostanzial­mente identica e che in commission­e a Verona hanno avuto destini opposti. Entrambi erano perseguita­ti a casa per aver sostenuto un preciso partito politiche: uno si è visto subito riconoscer­e la protezione sussidiari­a, l’altro no. Abbiamo fatto ricorso per l’escluso e il tribunale di Venezia ci ha dato ragione».

E dopo la «vittoria» in tribunale, che succede al richiedent­e asilo?

«Le direttive di molte prefetture dispongono che entro 24 o 48 ore dal rilascio del titolo di soggiorno, il cittadino debba uscire dal sistema di accoglienz­a. Ma tale prassi non tiene conto della direttiva europea che prevede che gli Stati membri garantisca­no accesso ai programmi di integrazio­ne. Sarebbe opportuno che si valutasse caso per caso se il titolare di protezione internazio­nale necessiti di beneficiar­e ancora di misure di accoglienz­a. Il che significa anche un aiuto nel percorso di inclusione sociale».

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L’accoglienz­a L’avvocato Enrico Varali esperto di immigrazio­ne e alcuni richiedent­i asilo

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