L’ispettore: «Un grave degrado dei crediti»
La severa analisi del consulente del pm. La difesa di Consoli: solo 3 episodi di «parcheggio» azioni
La scusa della crisi Il gip: «L’appello al ciclo congiunturale avverso appare persino grottesco» Terrinoni Contavano solo i volumi raggiunti
Sarà scontro giuridico e giurisprudenziale sulle «operazioni baciate» contestate a Vincenzo Consoli. In vista dell’interrogatorio previsto entro la fine di agosto, mentre i difensori dell’ex amministratore delegato di Veneto Banca si preparano a studiare tutti i faldoni che arriveranno da Roma, gli inquirenti sono pronti a giocarsi la carta della consulenza tecnica d’ufficio. Agli atti dell’inchiesta, in buona parte recepita dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare, figura infatti anche una relazione del consulente Luca Terrinoni, che accende un faro sulle modalità di gestione del credito che sarebbero state favorite dai pregressi vertici di Veneto Banca.
La cornice in cui va inquadrato il rapporto di Terrinoni, ispettore della Vigilanza di Bankitalia e già consulente della procura di Ancona sul dissesto di Banca Marche, è quella del cosiddetto «capitale finanziato». Siamo al centro dell’ipotesi di reato di ostacolo alla vigilanza, un’attività che secondo il procuratore aggiunto Rodolfo Sabelli e i sostituti Maria Sabina Calabretta e Stefano Pesci sarebbe stata compiuta attraverso un fenomeno ritenuto di prassi a Montebelluna: «Da molti anni Veneto Banca ha indiscriminatamente finanziato la sottoscrizione o l’acquisto o il mantenimento di proprie azioni», accoglie il giudice per le indagini preliminari Vilma Passamonti. Una condotta che, sempre secondo l’ordinanza, «si è in molti casi concretizzata nei confronti di soggetti non interessati a investire in titoli della banca, ma indotti a farlo in cambio della concessione di credito ovvero - nel caso di difficoltà finanziarie - della mancata attivazione di azioni di rigore». Il rilievo è che le azioni finanziate dalla banca o acquisite in garanzia non erano computabili nel patrimonio dello stesso istituto ai fini del rispetto dei requisiti patrimoniali obbligatori. In questo senso l’esame effettuato da Terrinoni ha rilevato che, alla data del 31 dicembre 2013, il patrimonio di vigilanza avrebbe dovuto essere rettificato per 276,2 milioni.
Stando all’impianto accusatorio, questo sarebbe «l’effetto di un grave degrado del portafoglio crediti che non può ritenersi istantaneo», tanto che andrebbero ricercate indietro nel tempo diverse «situazioni di sostanziale insolvenza o quanto meno di gravi squilibri finanziari (con conseguenti margini di perdita per la banca)». Ma chi ne è stato il responsabile? «Si evidenzia un progressivo allentamento dei presidi al rischio di credito scrive il consulente della procura - a favore dell’espansione dei volumi intermediati e degli obiettivi commerciali». Terrinoni stigmatizza al riguardo la mancata rettifica per il rischio di credito del risultato delle varie agenzie: «In sostanza, i responsabili delle filiali venivano premiati per i volumi raggiunti, senza alcun correttivo in caso di scadente qualità delle relazioni». E a volere questa situazione, secondo il consulente, sarebbe stato il dominus ora agli arresti domiciliari: «Considerato che molte controparti di significativa importanza erano apportate e gestite personalmente da Consoli - alla cui conoscenza diretta spesso gli analisti facevano riferimento, in mancanza di esaurienti presupposti documentali per la concessione del credito- non sorprende che, anche in fase di monitoraggio delle relazioni e di proposta di classificazione, gli addetti fossero particolarmente attenti a non contrastare gli ambiziosi disegni dell’ex Ad».
Gli avvocati difensori Massimo Malvestio, Alessandro Moscatelli e Franco Coppi sono determinati a dare battaglia. In merito alle «baciate», il collegio difensivo ritiene tutt’altro che pacifica l’automatica deduzione di nullità tratta dagli inquirenti. A sostegno di questa tesi potrebbe essere prodotto il parere legale, peraltro citato anche dai pm e dal gip (ma da questi per essere contestato), reso a suo tempo a Veneto Banca dallo studio Chiomenti a proposito della legittimità del finanziamento delle azioni proprie. Inoltre la difesa potrebbe circoscrive soltanto a tre gli episodi di «parcheggio» delle azioni avvenuti a Montebelluna nel 2013, pratica che invece a Vicenza sarebbe stata assai più diffusa. Un’altra arma da spuntare, in ottica difensiva, sarebbero poi gli stralci delle intercettazioni: brandelli di conversazione, dal loro punto di vista, che sarebbero insufficienti a suffragare l’assunto secondo cui Consoli decideva tutto quello che avveniva all’interno del gruppo.
Da parte loro i magistrati capitolini ritengono invece che non potrà essere invocato l’alibi della crisi: «Le fasi di difficoltà economica non sono notti in cui le vacche sono tutte nere». Secondo il gip, una banca sana avrebbe dovuto e potuto essere più rigorosa: «Quando del resto la scarsa prudenza si unisce all’adozione di comportamenti non ispirati a sana gestione (conflitti di interesse, gestione familistica del personale, attività di spesa formalmente scorretta e non orientata alle necessità aziendali quanto piuttosto al soddisfacimento della vanità e la brama di profitto dei singoli) l’appello al ciclo congiunturale avverso appare perfino grottesco. Le difficoltà dell’economia avrebbero dovuto indurre a ben altri comportamenti, se la stella polare delle scelte fosse stata la preservazione delle ragioni aziendali e il rispetto per i soci».