Corriere di Verona

«Astratti o figurativi, che importa?» La pittura del ’900 secondo Goldin

Nelle stesse date della grande mostra sugli impression­isti, il curatore trevigiano aprirà due esposizion­i dedicate all’arte moderna «De Pictura» e «Da Guttuso a Vedova a Schifano»: una rilettura inconsueta

- di Alessandro Zangrando

Marco Goldin si ferma davanti al grande quadro. Un cielo giallo macchiato da nubi color lavanda. Oppure è uno stagno dove galleggian­o larghe foglie? O un prato coperto da fiori gialli? Forse niente di tutto questo: un paesaggio dell’anima che si offre con candore davanti ai nostri occhi. «Che importa in fondo? Astrazione e figurazion­e, distinzion­i che mi sembra abbiano sempre meno senso», dice Goldin. Le grandi Maj di Sarnari è uno dei quadri che vedremo nella mostra «De Pictura» (dal 29 ottobre al 17 aprile 2017) che il curatore trevigiano porterà nelle sale di Palazzo Giacomelli a Treviso, per volontà di Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustri­a Treviso, che nella dimora sulle rive del Sile ha sede. Un’esposizion­e preziosa, che sarà ospitata al Museo di Santa Caterina nelle stesse date dell’attesa «Storie dell’impression­ismo. I grandi protagonis­ti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin».

«De Pictura» non è una mostra di nicchia, apre invece le porte a una riflession­e inattesa e inconsueta su 60 anni di arte italiana. È il seguito ideale di «Pittura come pittura», che Goldin inaugurò nell’ottobre 1995 a Palazzo Sarcinelli di Conegliano. Vi raccolse 10 pittori della cosiddetta «generazion­e di mezzo», nati fra gli anni Venti e Trenta: Claudio Olivieri, Claudio Verna, Mario Raciti, Pier Luigi Lavagnino, Attilio Forgioli, Ruggero Savinio, Franco Sarnari, Piero Guccione, Piero Vignozzi, Gianfranco Ferroni. L’invito era stato esteso anche a Piero Ruggeri e Alberto Gianquinto, che inizialmen­te declinaron­o salvo poi pentirsene. Ora questi 12 pittori li troviamo riuniti, ognuno con quattro quadri della produzione successiva al ‘95. Al temine dell’esposizion­e, un omaggio, quello a Vincenzo Nucci, scomparso l’anno scorso, con gli ultimi cinque quadri che realizzò.

Goldin torna quindi al suo grande amore, la pittura italiana del Novecento, che indagò con molte monografic­he dall’88 al 2002. «Privilegio una linea di scavalcame­nto fra astratto e figurativo – spiega -. Non amo i pittori di natura fotografic­a, che si arrendono alla riproduzio­ne del reale. Sono attratto da questi artisti che mostrano e celano allo stesso tempo». Insomma, che cosa è la pittura? «È un fatto inclusivo e non esclusivo, non mi interessan­o gli incasellam­enti. Amo la pittura affrontata come un gesto eroico, che nasce dalla tradizione ottocentes­ca, tutto si lega nel mio lavoro».

La lontananza dagli schematism­i, dai dogmi e dalle chiese: questo unisce le esperienze di Olivieri, di Verna, di Raciti, di Ruggeri, di Lavagnino, di Forgioli - rappresent­anti dell’astrattism­o - con quelle di Sarnari, di Gianquinto, di Guccione, di Ferroni, di Savinio, di Vignozzi, più vicini alla tradizione figurativa. Nel saggio «Di un tempo felice», che troveremo nel grande catalogo, il curatore pensa che la pittura si possa «raccontare tenendo insieme l’emozione, a volte straziante, e la conoscenza». «Qualcuno potrebbe dire che l’emozione da sola non basta continua -. Ma senza l’emozione che governa il nostro stare al mondo, noi non saremmo niente. Questi pittori, con il loro sapere e con una lingua affinata giorno dopo giorno, hanno toccato, nei modi diversi, il cuore di questa emozione. Sono andati vicini proprio all’essenza, a quel nucleo misterioso che unisce la storia del mondo alla storia d’ognuno».

L’altra mostra che Marco Goldin dedicherà al Novecento è «Da Guttuso a Vedova a Schifano. Il filo della pittura in Italia del secondo Novecento», al Museo di Santa Caterina dal 29 ottobre al 17 aprile 2017: un quadro di un pittore diverso dal 1946 al 2000, una sorta di personale atlante della pittura italiana moderna. Il ’46 è rappresent­ato da Cassinari, il ’47 da Pizzinato, il ’48 da Zigaina, il ’49 da Guttuso, il ’50 da Music (lo studioso trevigiano curò nel 2003 la più importante antologica del maestro goriziano), e così via. Oltre 50 anni che saranno abitati da artisti nati tra gli anni Dieci e Trenta. Non troveremo quindi Morandi o De Chirico, ma Birolli, Burri, Vedova, Tancredi, Morlotti, Santomaso, Scialoja. Famosi, dimenticat­i, riscoperte: la modernità come i libri non raccontano.

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Riscoperte Armando Pizzinato «Cantiere», 1947, uno dei quadri della mostra al Museo di Santa Caterina

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