Colorata e moderna, la Venezia di Caffi Il Museo Correr dedica una mostra al pittore bellunese. Il rapporto con la Laguna
Roma e Venezia, due tappe fondamentali nella vita di Ippolito Caffi, diventate soggetto prediletto per i suoi dipinti di grande modernità. Città tradotte in pittura con una poesia che non ha eguali nell’Ottocento. Al Museo Correr fino al 20 novembre, www.visitmuve.it
Personalità complessa e sovente tormentata, ma aperta ad ogni sperimentazione, refrattaria a subire vincoli e imposizioni, ma al tempo stesso pronta a porre a se stessa precise regole di comportamento e di rigore, sia etiche che professionali, Ippolito Caffi è un prisma poliedrico di emozioni e sentimenti, capace di rifletterne le
mille sfaccettature in un gioco continuo di luci che si materializzano e trasfondono nei mille riverberi della sua tavolozza, specchio della sua stessa anima. Tra tutte, le tante città che visitò nel corso della sua vita, molte per desiderio e curiosità, altrettante costretto da vicende personali non sempre liete, Venezia e Roma restano le due scelte fondamentali, i cardini della sua intera esistenza, in un continuo andirivieni che si protrae con il ritmo del moto perpetuo. Ma mentre Roma rappresenta la formazione, l’ammaestramento, l’allargamento di orizzonti culturali e sociali, reiterato e sempre efficace momento di crescita; è Venezia che il giovane bellunese dai solidi principi, perennemente sedotto dal fascino di un eterno viaggiare, elegge fino all’ultimo respiro a intimo porto dell’anima. Con Venezia litiga: «Se io dovessi incominciare nuovamente la mia carriera, fuggirei l’Accademia come il demonio l’acqua Santa»; con Venezia piange: «La vita di Venezia è ridotta allo stremo, per povertà e dolore… La nostra misera Venezia, ridotta all’ultimo della sua esistenza morale e materiale». La nostra Venezia. La sua Venezia, narrata ora con un segno netto e sicuro di rigorosa precisione prospettica, ora con una sintassi sfrangiata che precorre soluzioni di una modernità esaltante e così lontana dall’olimpico distacco canalettiano. Nei suoi dipinti l’acqua e le pietre nel loro rifrangente dialogo si accendono di bagliori guizzanti, resi con pennellate veloci e ricche di materia cromatica; divengono più che un fondale scenografico in senso stretto, il materializzarsi di un abbraccio infatuato dal quale sboccia, come dalla corolla di un fiore, l’iridescente e dinamico microcosmo dell’esistenza: «Ho voluto fare la regata sopra il Canalazzo di Venezia: qui tutto è festa, i damaschi svariatissimi sono posti per quasi tutte le finestre, le barche decorate in mille fogge diverse, il moto del popolo, il brio, la gaiezza ad ogni cosa…E così sempre immerso nella mia difficile carriera spero di arrivare a vincere qualcuna delle infinite difficoltà che si incontrano lungo il camino». (3. Continua. Le puntate precedenti sono uscite l’11 e 24 luglio)