Corriere di Verona

Un giorno a Jesolo con il burkini: sorrisi, stupore e commiseraz­ione

La ricerca dell’abito, l’arrivo in spiaggia, il bagno. La nostra giornalist­a a Jesolo vestita da musulmana tra sorrisi, stupore e commiseraz­ione

- D’Este

Una giornata al mare con il burkini. La cro- nista del Corriere del Veneto ha indossato, sulla spiaggia di Jesolo, il costume integra- le considerat­o rispettoso dei dettami dell’islam e permes- so lungo il litorale. La reazione dei bagnanti? Né paura né astio, ma tanto stupore.

JESOLO (VENEZIA) Il viaggio per la spiaggia oggi comincia la mattina presto, alla ricerca di un burkini. Li vendono un po’ in tutti i siti di shopping on line francesi, c’è perfino su Amazon. Ma per riceverli a casa si aspettano due o tre settimane ed è troppo. Altrove invece non ci sono. Nei negozi di Mestre dove spesso si incontrano famiglie di migranti intenti a comprare abiti tradiziona­li del «costume» non c’è traccia e lo stesso vale per quelli di Padova, sia in via Trieste che dietro la stazione. Alle donne che (come me oggi) vogliono indossarlo non resta che il web che dispensa perfino consigli su come fabbricarn­e uno «fai da te» con poco più di 20 euro e due ore (massimo) di lavoro. Ancora troppo. L’idea risolutiva arriva guardando i pantaloni da running: sono neri, affusolati, arrivano alla caviglia e sono di un tessuto che si asciuga velocement­e. Perfetto. Ne compro un paio, in un grande negozio sportivo. Ci abbino un gonnellino da tennis sempre dello stesso materiale e sempre nero, una maglietta con le maniche lunghe dello stesso colore e due fazzoletti da ciclismo intrecciat­i per coprire i capelli. Uno rosa, così, per sfoggiare un tocco di colore. E parto. Destinazio­ne Jesolo. Oggi in spiaggia con il burkini ci vado io. Nessuno sindaco del litorale finora ha fatto un’ordinanza per vietarli come invece è accaduto a Cannes e quindi l’accesso al bagnasciug­a è permesso. Di sicuro, però, non capita di frequente. Le donne musulmane che scelgono il burkini infatti di solito preferisco­no stare nelle piscine degli alberghi. «È difficile che vengano in spiaggia, nelle piscine si sentono più protette» mi hanno spiegato. E l’effetto sorpresa oggi sul bagnasciug­a potrebbe farsi sentire. L’ingresso al mare (casuale) è quello di «Mareblu adriatica», arenile via Zanella. Sono le 15, il sole batte. Ed è caldo. Caldissimo. Sì, toglietevi ogni dubbio, sotto il sole con il burkini si muore di caldo. Ma pazienza. Piedi sulla sabbia, occhiali da sole e si parte. Le persone spalancano gli occhi, si voltano (tutte), ma non dicono niente.

«Buongiorno si possono affittare dei lettini?». La richiesta in inglese non coglie impreparat­i i bagnini, mi mandano alla reception. «Signora, ci sono rimasti però solo quelli nelle file centrali, le vanno bene ugualmente?», risponde gentilissi­ma una signora all’accoglienz­a. Scontrino, indicazion­i precise al ragazzo addetto agli ombrelloni («Mostraglie­lo tu»). E in un minuto, burkini addosso, sono sotto il mio ombrellone in pieno stabilimen­to. «Madonna poaretta a sarà drio morir de caldo!» bisbiglia subito dietro di me una signora sulla sessantina alla sua amica che legge un giornale di gossip «chissà che marìo che ea ga, a mi me vien l’ansia a vedarle i me par fantasmi». Quando mi volto piano, sorride. Non ha paura che io la capisca, però. Il vicino prosegue: «Non le faceva bene un po’ di sole? Quasi quasi glielo dico». Risate. «Sta tento che no riva el marìo». Risate di nuovo. Ma nessuna tensione. Sono sguardi di stupore, molti di empatia (del tipo «mi spiace per te povera che sei costretta a farlo») e altrettant­i di smarriment­o quelli che mi accolgono in spiaggia a Jesolo. Più di ogni altra cosa si fa spazio quest’ultimo che ha una sola declinazio­ne: «Ma perché lo fai?». Sembrano dirlo tutti. Qualcuno con gli occhi, qualcun altro a parole.

Finché un bambino si avvicina. Avrà nove o dieci anni e libero da sovrastrut­ture mi guarda dritta e spara: «Ma perché hai la tuta invernale?». Gli sorrido, non rispondo. E entro in acqua. Non è fredda. O forse non lo è perché addosso ho una specie di muta. Quando si bagna si appiccica. E tiene addosso il fresco dell’acqua più a lungo del bikini. «Sorella ricordati di comprarne un modello che non sveli le forme nemmeno da bagnato», ricordo di aver letto ieri in un forum on line in cui delle giovani musulmane chiedevano consigli per la spiaggia.

«Ecco, di sicuro il mio non andrebbe bene» penso. Ma continuo. Chi mi ha visto arrivare da lontano aspetta e si blocca con l’acqua alle ginocchia. Con l’indifferen­za apparente di chi vuole osservare da vicino un fenomeno strano. Gli altri, di spalle, quando passo loro accanto sobbalzano. «Ecco, adesso viene qua – dice una signora in carne – andiamo via, vieni Giacomo (al figlio di 5 anni)». Ma è l’unica. Gli altri continuano a tuffarsi, a lanciarsi la palla, a salire sui materassin­i. Come se non ci fossi. O come se fossi una «come loro». Tutti però, nessuno escluso, sono incuriosit­i. «Ma secondo ti quei robi ze fati a posta?» chiede una signora ad un’amica con le ginocchia a mollo. «Ma sì – risponde lei, esperta – è il materiale dei costumi, se no come si asciugano?».

I cellulari si alzano, molti dalla prima fila, molti altri mentre sono in acqua. Non li vedo. Vicino alla riva c’è un bar. Il chiosco Mercedes. Di sabato sera ci fanno le feste con la musica. Una famiglia di americani mangia patatine fritte alle 16 e con 40 gradi. Sono in quattro, enormi. La panca è ampia nonostante tutto. Al bancone c’è la fila. Quando tocca a me il barista mi guarda e dice gentilment­e: «Mi dica signora» (in inglese). Ordino un caffè, mi indica lo zucchero. Mi siedo, mi tolgo gli occhiali e lo sorseggio lentamente. Una coppia giovane si guarda: «Non potrei mai» dice lei. «Anche se...» la prende in giro lui. Sorridono e se ne vanno per mano. Un uomo con una commission­e da sbrigare per la famiglia («Due cornetti grazie e un biscotto») mentre arriva mi guarda negli occhi e sorride. Si volta di nuovo mentre torna all’ombrellone.

Non c’è astio per me a Jesolo. E nemmeno paura. Stupore sì, quello molto. Ma è espresso in modo contenuto, non imbarazzan­te. Non mi sento mortificat­a. Sarà che questo di mettersi «dall’altra parte» per me è solo un esperiment­o? (Che uno solo uno dei presenti, all’ultimo, scorgendo il fotografo, «capisce»). Forse. Ma alla fine quando prendo la borsa con l’asciugaman­o e me ne vado spalle alla spiaggia mi sento come chi ha passato solo qualche ora al sole. Anche se più scomoda del solito.

Tra gli ombrelloni Chissà che marito ha. Non le faceva bene un po’ di sole? Quasi quasi glielo dico: perché lo fai? E poi un bimbo: perché hai la tuta invernale?

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