LA CHIESA CHE VUOLE CAMBIARE
«Ripartiamo dal Vangelo e dall’idea di un Cristianesimo primitivo. Non costruiamo sui preti o sui diaconi o sulle suore, ma in modo che ci siano comunità di cristiani e di laici maturi e formati. I servizi e i ministeri vengono dopo». In questi termini, nel contesto di una lunga intervista rilasciata ad un quotidiano locale, si è espresso Claudio Cipolla, da dieci mesi Vescovo di Padova. Il ragionamento sviluppato dal prelato prende le mosse da un esame schietto delle condizioni della Chiesa nel Veneto, per poi aprire una riflessione di ampio respiro, capace di delineare un progetto ambizioso, nella cui realizzazione coinvolgere l’intera comunità diocesana. Il presupposto della vera e propria «riconversione» preconizzata da monsignor Cipolla è la convinzione che si stia imponendo un cambiamento inesorabile, rispetto al quale compito dei cristiani è anticiparne il compimento, allo scopo di non esserne sopraffatti. Lo sguardo è orientato al futuro, alla costruzione di un nuovo modo di concepire la Chiesa, che sappia coniugare coraggiosamente due dimensioni, anziché contrapporle sterilmente: da un lato, l’irrinunciabile ancoraggio ai valori del cristianesimo primitivo, alla forza di un messaggio che si è forse offuscata, ma che non è affatto spenta. E dall’altro la scelta di proiettarsi in un futuro in cui l’obbiettivo principale sia la costruzione di comunità che a quel messaggio sappia richiamarsi con la capacità di renderlo vivo e di attualizzarlo.
In questo quadro generale, caratterizzato da una forte carica innovativa, espressa inoltre in un linguaggio limpido ed efficace, si collocano anche alcune scelte particolari, molte delle quali hanno determinato polemiche e controversie ancora non del tutto sopite. Il rapporto con l’Islam, anzitutto, all’insegna di una sincera ricerca della convivenza e del dialogo, sospinta dall’idea che «più si va nella profondità delle nostre fedi più possiamo incontrarci». In secondo luogo, un approccio al problema della povertà coerente con l’ispirazione di un cristianesimo fedele alle sue radici, dove è dunque non facoltativo considerare i poveri come amici, e dove quindi «combattere con loro vuol dire combattere con la Chiesa». Infine, il grande tema dell’accoglienza verso i profughi e i migranti. Qui le parole del Vescovo assumono connotati se possibile ancora più intensi, soprattutto perché motivati da un monito di straordinaria incisività: «dobbiamo stare attenti a non considerare carità quello che è dovuto per giustizia». Questo il quadro concettuale delineato da monsignor Cipolla. Un contributo tanto più importante, perché non si limita ad astratte perorazioni teoriche, ma giunge piuttosto a legittimare le coraggiose scelte fatte in questi primi dieci mesi di attività pastorale, dalla «scandalosa» disponibilità a rinunciare al presepe, quale apertura verso il mondo islamico, al pasto consumato presso le cucine popolari, in compagnia dei poveri, fino al sostegno erogato in favore dei migranti . Qualcuno potrebbe pensare che l’interesse e il rilievo della riflessione proposta dal Vescovo di Padova riguardino soltanto la Chiesa e i credenti. Non è così. Per convincersene, è sufficiente paragonare l’importanza dell’orizzonte dei problemi evocato dall’intervista, con gli avvilenti balbettii della classe dirigente del Veneto, del ceto politico e di coloro che hanno gestito la finanza pubblica e le scelte imprenditoriali. Lo scarto fra l’angustia culturale di coloro che con tanta enfasi sono stati definiti gli artefici del «modello veneto», da anni alla prese con una crisi senza sbocchi, e l’appello a «pensare e a realizzare il cambiamento», proveniente da monsignor Cipolla, testimonia la decadenza irreversibile di una generazione, per la quale è giunto il momento di uscire di scena. Per costruire un futuro meno incerto per questa regione, il discorso di un pastore apre una prospettiva che sarebbe insensato ignorare.