L’amicizia fra Parise e Guttuso e le passeggiate sui colli berici
L’estate degli scrittori: il carteggio e le vacanze insieme in Veneto
All’orizzonte risale un vapore ocra. Si espande lentamente e disegna un arcobaleno. È l’effetto dell’alba sulla rugiada ma anche la prima immagine dei colli in estate. Un filo di terra e afa che dischiude la geometria segreta degli scrittori e ci accompagna da Treviso a Padova fino ai colli Berici, a Vicenza, dove nell’estate del 1975, Goffredo Parise propone a Renato Guttuso di venirlo a trovare, «magari solo per una passeggiata insieme, per ammirare il paesaggio e parlare, di persona, del tuo dipinto La Vucciria». Il pittore siciliano non potrà onorare l’invito per motivi personali ma ne serberà un ricordo affettuoso per tutta la vita, tanto da citare più volte quella «passeggiata sui colli, di cui avrei avuto bisogno per onorare l’amicizia con Goffredo (Parise n.d.r.)».
L’antefatto è un fra gli esempi più efficaci di come, a volte, anche nel complesso mondo letterario e artistico, esistano delle amicizie vere, disinteressate. Febbraio 1975, Renato Guttuso espone alla galleria Toninelli di Roma il quadro che fu subito riconosciuto come un capolavoro: ‘La Vucciria’. La prefazione al catalogo è di Goffredo Parise e il testo reca un titolo non solo accattivante ma grazie a un’intuizione geniale dello scrittore, di un percorso pittorico: «L’Italia com’è».
Parise nella sua introduzione azzera brillantemente tutti i possibili (pre)giudizi su Guttuso pittore ideologico e politico: «Nessun altro quadro di Guttuso - eppure i suoi paesaggi, i suoi ritratti e le sue nature morte italiane sono tanti ha mai espresso con tanta intensità il sentimento profondo del nostro Paese». Non allude certo al termine «nazionalista» ma poteva essere frainteso. Sono tempi difficili, persino sull’uso della terminologia. Nel seguito dello scritto, che si svolge in forma di dialogo tra lo scrittore «che guarda» e il quadro «guardato», Parise offre una lettura estranea ad ideologie o etichette formali, pronta - come lui rileva - all’ascolto delle cose e delle persone dipinte, del senso pittorico dell’insieme.
Parise all’epoca fa parte del gruppo romano di scrittori vicini a Guttuso in varie stagioni della vita fin dagli anni Quaranta. Parise è più lontano di altri dal marxismo, dall’impegno politico in genere. A Roma in quegli anni, sono attivi Moravia, Carlo Levi, la Morante, senza contare critici più famosi, da Brandi a Del Guercio fino a Calvesi. Nell’introduzione critica al quadro, Parise inscena un dialogo con un quadro che parla, quadro che spiegherà ciò che è e ciò che rappresenta, convincendo colui che guarda a fermarsi a ciò che vede, a ciò che il quadro è. L’autore dei Sillabari ci dice che l’Italia di Guttuso è l’ Italia vera e viva nella quale noi tutti siamo immersi e siamo parte, l’Italia della natura felice anche se i tempi sono grigi: gli anni di piombo, gli anni dei sequestri, la campagna per e contro il divorzio. La Vucciria, nella sua fantasmagoria di cibi, frutti, verdura, carni, formaggi, donne è una specie di antifona ai tempi, di apparizione utopica, appunto. Eppure Parise percepisce che in questo confronto solare con oggetti e corpi si insinua, tema italianissimo, attuale, la morte. E scrive: «Alludo alla morte? Quella c’è e sta dentro il quadro. Ma l’ideologia politica che stava nei grandi quadri celebrativi di Guttuso, non s’ispira alla morte bensì alla vita, al futuro. In questa frutta, e pesce e carne, che invece sono pieni di luce e di sole c’è, al contrario, la morte. È strano». Guttuso è stato comunista fin dalla giovinezza ma non gli impedisce d’entrare in polemica direttamente con il duro giudizio, quasi una messa al bando, di Togliatti e del partito, del 1948 contro le correnti antirealiste, specie contro gli astrattisti, dopo la mostra di Bologna del Fronte Nuovo della Arti. Difendeva il principio di libertà. Lo stesso senso di libertà che il pittore avrebbe volentieri voluto esprimere allo scrittore, a spasso sui colli.