Battistoni direttore della Filarmonica di Tokyo a 29 anni
La bacchetta veronese brucia un’altra tappa: a 29 anni è nominato direttore stabile della Tokyo Philharmonic Orchestra, storia centenaria e prestigio mondiale. «Sarà una grande esperienza non solo artistica, ma anche umana»
«Èun’esperienza artistica, perché accrescerò il mio bagaglio d’esperienza sinfonica. Ma anche umana: sarò là tre mesi l’anno e potrò capire di più di una cultura complessa che m’affascina molto». Biglietto Verona-Tokyo, cioè un biglietto Occidente-Oriente. «Può sembrare una grande metropoli alla Londra o New York, moderna come chi vuol essere avanguardia in tecnologia e business. Ma poi in mezzo ai grattacieli e al rumore scopri quei santuari dove i giapponesi ritrovano se stessi nel contrario, cioè il silenzio». Pure di silenzi, è fatta la musica. E la musica, adesso, spinge il 29enne veronese Andrea Battistoni fin là: direttore principale della Tokyo Philharmonic Orchestra, la più antica formazione sinfonica giapponese, 100 candeline di storia nel 2011. È la nuova tappa di una carriera in rapidissima ascesa: dal 2006 Battistoni si è esibito in teatri come La Scala, Deutsche Oper di Berlino, Mariinsky di San Pietroburgo, La Fenice di Venezia e Arena. «Orchestra di stampo inglese e americano, che deve sopravvivere con le produzioni e gli abbonati, il che rientra nella storia del Giappone, dove la maggior parte delle orchestre sono autogestite. Così si produce e collabora moltissimo: opera, musica sinfonica, colonne sonore e spot. L’effetto è la versatilità».
Il benvenuto a Battistoni, dal Giappone, suona così: «Un giovane talento italiano e la tradizione della nostra orchestra, siamo sicuri che ne nascerà un nuovo mondo musicale». Un talento, Battistoni, già premiato nel 2012 dalla Fondazione Masi come «giovanissimo promotore della rifondazione dell’educazione musicale in Italia», e un mondo musicale, sull’asse nipponico, che inizia a tratteggiarsi nel 2012. «Quando ho diretto a Tokyo il Nabucco di Verdi. L’eseguirono in mo-
do fantastico, per tecnica ed espressività. Era la mia prima volta con loro, da lì è cominciata una collaborazione frequente. Vorrei far conoscere quest’orchestra al mondo, il sogno è portarla in Italia, e ovviamente anche a Verona».
Essere il direttore principale della Tokyo Philharmonic vuol dire libertà di pensiero e azione. «Significa poter costruire progetti a lunga gittata. Il repertorio, intanto. Loro guardano molto ad autori italiani sin qui poco frequentati: affronteremo presto l’Iris di Mascagni, poi Ottorino Respighi. Penso pure alla grande tradizione sinfonica, vedi Mahler, Beethoven, la musica del Novecento, Stravinsky, Prokofiev. Infine, voglio sperimentare il più possibile: stiamo studiando progetti su Frank Zappa e Keith Emerson». In valigia, oltre a bacchetta e spartiti, c’è posto anche per i taccuini.
«Una realtà “altra”, il Giappone. Mi incuriosisce e al contempo percepisco la distanza tra la loro forma mentale e la nostra. Parliamo di un Paese in bilico tra modernità e antiche abitudini squisitamente orientali. C’è un rigore estremo nel lavoro, che noi europei ci sogniamo, e poi c’è quell’apprezzare le piccole cose quotidiane: i giapponesi sono capaci di mettersi sotto un albero di ciliegie e guardarne la fioritura a bocca aperta. Della loro cultura avevo conoscenze marginali e superficiali, per il resto. Ricordo la fascinazione per Hokusay e il loro straordinario senso del disegno. Andandoci spesso ho scoperto le bellezze artistiche, le arti grafiche. E sto diventando un grande appassionato del teatro kabuki: è molto astratto, simbolico, ma con l’opera italiana ha più punti in comune di quanto si possa credere».