Corriere di Verona

Tosi: anche il Banco a rischio scalata se salta la fusione

Il 15 ottobre le assemblee decisive Si spacca il fronte dei soci Bpm, Verona in ansia

- Trabona

I soci pensionati della Banca Popolare di Milano creano un doppio fronte del no alla fusione con il Banco Popolare. E cresce l’ansia per l’esito delle due assemblee, in contempora­nea a Verona e Milano, che il prossimo 15 ottobre dovranno dare il via libera all’operazione e alla trasformaz­ione in spa. Il sindaco Tosi: «Non solo Bpm, ma anche il Banco sarà più facilmente scalabile se dovessero vincere i no alla fusione».

VERONA Il conto alla rovescia è già cominciato, e lo si vede dalle prese di posizione pubbliche, dalle uscite dei vertici, dall’interesse crescente dei media. Il 15 ottobre, fra dieci giorni, si celebrano in contempora­nea le assemblee dei soci del Banco Popolare a Verona e della Bpm a Milano. Come ormai sanno anche i sassi, sono chiamate a votare la trasformaz­ione in spa e il contestual­e progetto di fusione tra i due istituti. E c’è un problema: mentre in riva all’Adige non c’è nessun pericolo che il sì all’operazione venga messo in discussion­e, nel capoluogo lombardo si registrano fibrillazi­oni quotidiane. L’ultima, giusto ieri: i soci pensionati iscritti al «Patto per la Bpm» hanno ufficializ­zato la loro posizione, cioé restano contrari all’aggregazio­ne. Un pronunciam­ento che segue di un giorno il no espresso dall’associazio­ne Lisippo, altra sigla che raccoglie soci pensionati. Il muro alzato dagli ex dipendenti ha scatenato le illazioni su una possibile bocciatura della fusione in assemblea: calcoli che si basano sulla platea potenziale di tremila pensionati votanti (cui vanno aggiunti i loro familiari) che, per di più, possono per regolament­o raccoglier­e dieci deleghe ciascuno. Insomma, un pacchetto talmente consistent­e di voti assemblear­i da mettere in dubbio il sì a Milano, visto che è necessario raggiunger­e il quorum dei due terzi.

A Verona si assiste a tutto questo con una certa ansia. Il Banco Popolare è blindatiss­imo, nel senso che non c’è una voce contraria che si sia alzata fra i circa 48 mila soci del territorio veronese, così come fra tutti gli altri azionisti del gruppo con diritto di voto (sono 200 mila). L’assemblea del 15 si celebrerà in sede unica, senza i collegamen­ti in videoconfe­renza finora concessi. Tutti convogliat­i in fiera, qui a Verona. Un modo per tenere la situazione ancora più sotto controllo? Da piazza Nogara negano, sottolinea­ndo che non ce n’è alcun bisogno, visti i segnali (favorevoli) in arrivo anche da Lodi, da Bergamo o dall’Emilia.

Lo sguardo è quindi rivolto a Milano. Flavio Tosi ha letto l’intervista al Sole 24 Ore dell’ad Giuseppe Castagna (resterebbe tale anche post-fusione) che avverte dei pericoli di scalabilit­à per Bpm in caso di bocciatura dell’aggregazio­ne in assemblea. E il sindaco estende il concetto: «Anche il Banco rischia di essere scalato se dovesse fallire questa operazione». La trasformaz­ione in spa dovrà avvenire comunque entro la fine dell’anno «e se i due istituti restassero da soli potrebbero essere molto più agevolment­e aggrediti da capitali stranieri. I prezzi di mercato delle banche italiane sono talmente bassi da renderle molto appetibili, e sappiamo che soldi nel nostro Paese non ce ne sono. Forse a Milano qualcuno non ha ben compreso cosa significa bocciare la fusione, che mette al riparo un istituto come la Bpm, facilmente contendibi­le, e rende più forte il Banco, che qualche problemino con i crediti in sofferenza ce l’ha».

Un po’ più prudente Giulio Pedrollo, che del Banco Popolare è consiglier­e di amministra­zione, oltre ad essere vicepresid­ente nazionale di Confindust­ria. «La mancata fusione sarebbe soprattutt­o un’occasione persa per il Paese, perché verrebbe meno una nuova realtà solida, capace anche di colmare il vuoto che si è creato nel Veneto con la crisi delle altre due Popolari. Verrebbe meno anche l’esempio, il caso da emulare per il consolidam­ento del sistema bancario che è voluto da tutte le istituzion­i. Cosa succede se davvero arriva una bocciatura dai soci? Non credo disastri irreparabi­li, nel senso che il Banco aveva già una sua solidità, che ha rafforzato con il recente aumento di capitale. In ogni caso, resto fiducioso».

Ottimismo suffragato dalla mobilitazi­one silenziosa del sindacato, che alle assemblee Bpm conta, eccome. Piero Marioli è il responsabi­le nazionale della Fabi (sigla largamente maggiorita­ria nei due istituti) per il Banco Popolare: «Le fibrillazi­oni sono tutte dei gruppi di pensionati Bpm che temono di perdere alcune garanzie economiche e di welfare loro concesse. Ma che da qui si arrivi alla vittoria dei no è tutto da dimostrare: c’è un lavoro capillare in corso, fatto di assemblee e dialogo, per convincere chi voterà. Io credo che non ci saranno problemi. E, subito dopo il voto, inizierà un nuovo capitolo: ci sono da discutere i 1.800 esuberi annunciati con il piano di fusione. Che, sia chiaro, dovranno essere solo volontari».

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Da sinistra Giuseppe Castagna (Bpm) e Pier Francesco Saviotti (Banco) il giorno della presentazi­one del piano di fusione
Stretta di mano Da sinistra Giuseppe Castagna (Bpm) e Pier Francesco Saviotti (Banco) il giorno della presentazi­one del piano di fusione
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Fronte del sì Dall’alto, il sindaco Flavio Tosi e Giulio Pedrollo, vicepresid­ente nazionale di Confindust­ria e consiglier­e del Banco
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