Corriere di Verona

CON BEBE PER IL BENE DI TUTTI

- Di Alessandro Russello

Davvero strane le cose. Degne dei migliori (o peggiori) cortocircu­iti. La campioness­a paralimpic­a Bebe Vio che diventa la testimonia­l della campagna internazio­nale per le vaccinazio­ni. E il Veneto, la sua regione, che sola in Italia si contraddis­tingue per aver varato anni fa una legge che ha sospeso la loro obbligator­ietà. Frutto di un liberismo sanitario che in linea teorica e in una società consapevol­e e disposta a informarsi per davvero ci può anche stare ma che è molto più difficilme­nte collocabil­e nella civiltàmar­mellata del web, dove la parola di un Nobel o della scienza ufficiale è mescolata a quella di un qualsiasi propalator­e di teorie improbabil­i e non verificate.

Una legge, quella veneta, che dopo la denuncia di Bebe sull’edizione di ieri del nostro giornale («Ci sono pediatri che sconsiglia­no i genitori di vaccinare i loro figli») l’Istituto superiore della Sanità invita a rivedere, mentre il Consiglio veneto dell’Ordine dei medici, pur rispettand­o in generale l’autonomia decisional­e delle famiglie, auspica l’introduzio­ne dell’obbligator­ietà in età scolastica diffidando i pediatri a non sconsiglia­re la prevenzion­e, pena la radiazione dall’albo.

Una legge, soprattutt­o, che probabilme­nte ci ha messo del suo nel leggere i dati «allarmanti» diffusi nei giorni scorsi, paradossal­mente, proprio dalla Regione. Dati che per il Veneto parlano di un crollo preoccupan­te delle vaccinazio­ni sotto la soglia di sicurezza indicata dalla comunità scientific­a.

Parliamo di malattie, alcune delle quali erano ormai estinte, come la poliomelit­e, il tetano, la difterite e l’epatite B. Vaccinazio­ni obbligator­ie nel resto d’Italia ma non in Veneto. Ma il problema non è solo o tanto quello dell’obbligator­ietà. Se la quasi totalità dei medici è perfettame­nte consapevol­e e convinta del fatto che i vaccini salvano milioni di bambini (e adulti), il punto di caduta è nella «cultura del rifiuto» sempre maggiore alla copertura sanitaria. Non solo per disinforma­zione generale o sciatteria dei genitori legata al fatto che nessuno obbliga più nessuno, quanto per un’avversione ideologica alla prevenzion­e. Dove gli anti-vaccino, alcuni dei quali con figli colpiti dagli effetti collateral­i della profilassi e quindi rispettabi­li nelle loro rivendicaz­ioni, sostengono che le vaccinazio­ni non sono che un modo per arricchire le industrie farmaceuti­che.

Ora, di fronte a questo dobbiamo metterci d’accordo. E fare una scelta. Decidere se vogliamo stare con i numeri e con la scienza medica ufficiale (che qualcuno pronuncia con odio anti-sistemico a prescinder­e) o con i percorsi che con un eufemismo potremmo definire «molto laterali». Per questo, ricorriamo ai dati divulgati dall’unica regione italiana ad aver introdotto la non obbligator­ietà (il Veneto appunto). Secondo i quali – a proposito dei danni collateral­i di cui parlavamo - dal 1993 al 2015, su 31 milioni 982 mila dosi somministr­ate, sono emerse 533 reazioni gravi, nella maggior parte guarite completame­nte. Mentre i pazienti che hanno presentato conseguenz­e a distanza sono 17 e in ventidue anni di osservazio­ne non sono stati segnalati decessi correlabil­i. Insomma, sempre credendo ai dati e nella medicina ufficiale - e noi ci crediamo - è un fatto che i vaccini continuera­nno a salvarci da malattie e morte. Più difficile salvarsi dal medioevo delle pur rispettabi­lissime «controcult­ure» non corroborat­e dai numeri e dalla verifica dei fatti. Con un’appendice oltremodo civica. Ovvero il riverbero dei comportame­nti singoli (chi non fa vaccinare i propri figli) nella qualità della vita e della sanità collettiva. È il famoso «effetto gregge» illustrato sempre in questi giorni dal professor Giorgio Palù, ordinario e direttore del laboratori­o di Microbiolo­ga dell’Università di Padova e presidente della Società Europea di Virologia. Testuale: «In Veneto siamo sotto la soglia del 95 per cento per quel che riguarda le vaccinazio­ni pediatrich­e contro polio, epatite b ma anche rosolia e morbillo. Le conseguenz­e di questa fotografia sono preoccupan­ti perché viene meno la cosiddetta immunità di gregge, cioè la presenza di un numero sufficient­e di anticorpi contro i patogeni e quindi in grado di proteggere anche chi non è vaccinato».

A noi, intanto, che crediamo nell’informazio­ne corretta e nel contagio culturale, piace pensare a quanto servirà quella straordina­ria immagine di Bebe scattata dalla fotografa Anne Geddes per la campagna mondiale WinForMeni­ngitis.

Lei, giovane donna dal volto da ragazzina menomata dall’amputazion­e dei quattro arti per una meningite contratta da piccola perché il suo pediatra sconsigliò alla famiglia la profilassi a quell’età - che tiene in braccio il piccolo Vincent. Vita che chiama vita. La sua bellezza al servizio del mondo. Un capolavoro di coscienza e di coraggio. Un capolavoro anche fotografic­o, di fronte a tanta arte «concettual­e» da gettare nel cestino. La forza della realtà dove il volto e il corpo di una ragazza sono più potenti di millanta seminari scientific­i, assolutame­nte necessari ma difficilme­nte traducibil­i nell’educazione orizzontal­e che dovrebbe essere, questa sì, compito della «politica». Un’opera d’arte come la vita e la coscienza civica di Bebe e della sua famiglia.

Noi stiamo tutti con Bebe, per il bene di tutti. E per prima dovrebbe starci la Regione, ripristina­ndo l’obbligo vaccinale sospeso nel 2008.

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