Picchiato a morte Addio nella paura
Valgatara, l’ultimo saluto al ristoratore ucciso. Il parroco invoca il perdono
Chiesa gremita e cittadini ancora impauriti dopo il delitto, ieri, ai funerali di Luciano Castellani, per tutti «Ciano de l’Agnela», titolare della storica osteria l’Agnella di Valgatara, ucciso di botte dai banditi.
MARANO DI VALPOLICELLA «A Francesco d’Assisi, nel suo giorno di Patrono d’Italia, chiediamo d’aiutarci, e di farci capire che non esistono lupi ma soltanto fratelli che si sono smarriti». Il parroco, don Andrea Ronconi, sceglie San Francesco e la storia del feroce lupo di Gubbio. Come se la paura di Valgatara dopo l’omicidio di Luciano Castellani («adesso c’è chi vorrebbe farsi il bunker», sussurrano fuori da un bar) fosse la paura della città umbra raccontata nel capitolo XXI dei Fioretti. «Gubbio ha paura del lupo che divora gli uomini. Così Francesco, volendo agire per il bene della gente, va verso il lupo. E fa un gesto rivoluzionario: lo chiama fratello anziché terrorista, e lo spinge ad andare verso il bene. Aiutaci Francesco, allora, a sentirci sempre ospitali, ad accogliere, continuando ad avvertire la responsabilità verso la sicurezza del nostro paese, e fa sì che i violenti capiscano che con la violenza non si va da nessuna parte».
È piena di gente in piedi e seduta, la chiesa di Valgatara, mentre rimbalzano le parole di don Andrea. C’è tutto il paese (anche il sindaco di Marano, Giovanni Viviani) ai funerali di Castellani, per tutti «Ciano de l’Agnela», titolare della storica osteria di paese l’Agnella, appunto - ucciso nella sua casa, la notte tra il 27 e 28 settembre, da quei ladri su cui proseguono le ricerche e che s’erano intrufolati nella sua abitazione, primo piano del piccolo palazzo che ospita anche la trattoria, poco lontano dalla salita che porta proprio alla chiesa.
In prima fila, di fronte all’altare, il fratello e la sorella di Luciano. E una nipote, Claudia, che legge un pensiero: «Il silenzio è la miglior forma d’ascolto. Il non giudizio è l’azione più saggia. Ci lasci questo, Luciano. E la semplicità d’essere sempre stato te stesso». Cioè «una persona buona e riservata, di poche parole», ricordo che tutta Valgatara lascia ai taccuini, fuori dal sagrato, a fine della liturgia. Ricordo che aumenta, in un certo senso, la sensazione di smarrimento del paese. Una signora del posto, Liliana, riflette: «Il messaggio di San Francesco? La nostra religione dice così, invita ad accogliere, anche in un momento come questo. Però adesso non è facile. Per perdonare quanto è stato fatto a Luciano ci vorrà tempo». Perché il proprio tempo, Valgatara, l’ha sempre trascorso serena, appoggiata alle colline della Valpolicella, la cronaca più nera pressoché sconosciuta. «Non siamo abituati a queste cose», racconta Sergio, un amico di Luciano. «Lui era un pezzo di pane. Dovevi pestargli un piede, per farlo parlare. Io non ho paura. Ma la gente è rimasta spaventata. Anche perché lo sappiamo tutti: era la seconda volta che i ladri provavano a entrargli in casa. Speriamo li prendano. Che poi venga fatta giustizia è un altro discorso, siamo in Italia». Che Valgatara non fosse preparata, a un lutto così, è il discorso lasciato in sospeso da Vittorio Zardini, ristoratore di Marano. «Noi ristoratori finiamo tardi, la sera. Però i controlli dei carabinieri ci sono, li sentiamo vicini, e penso s’intensificheranno. Il problema è che sento amici terrorizzati, qui in paese, che vogliono installare allarmi ovunque. Un conto è la paura dei furti. Ma la morte violenta di Luciano è qualcosa d’altro».