I giudici: «Consoli voleva scalzare Carrus»
Veneto Banca, l’ex Ad intercettato anche il giorno prima dell’arresto: disponeva di «informazioni segrete» e un dossier-Albania. Il Riesame: «Potrebbe conquistare una nuova banca». Il 21 ottobre sarà interrogato
«Si dimostra come il Consoli, anche dopo l’acquisizione di Veneto Banca da parte del Fondo Atlante, non abbia certo cessato di avvalersi dei rapporti che ancora lo legano all’istituto per acquisire informazioni riservate da utilizzate per fini personalistici, contrastanti con gli interessi della banca...». È un passo dell’ordinanza con la quale il tribunale del Riesame di Roma ha respinto la richiesta di revoca degli arresti domiciliari presentata dagli avvocati Alessandro Moscatelli e Franco Coppi per conto di Vincenzo Consoli, l’ex amministratore delegato di Veneto Banca, arrestato il 2 agosto scorso con le accuse di aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza.
Undici pagine per dire che, se tornasse libero, ci sarebbe «un concreto e attuale pericolo di reiterazione criminosa».
«Che il pericolo di recidiva sia concreto - osserva il Riesame - non può essere seriamente messo in dubbio, considerando la gravità dei fatti e la pervicacia criminosa di cui l’indagato ha dato prova nel lungo periodo di gestione dell’istituto».
I giudici non hanno dubbi sulla solidità degli elementi raccolti dagli investigatori, che «hanno svelato un vero e proprio sistema illecito, fondato sulla promozione di un’immagine distorta di Veneto Banca, finalizzata a nascondere la gestione spregiudicata delle risorse e le pratiche di finanziamento delle azioni». Un sistema dal quale «sono rimasti schiacciati più che altro i piccoli risparmiatori, indotti ad acquistare prodotti artificiosamente sopravvalutati e impossibilitati a ottenerne lo smobilizzo Ex top manager Vincenzo Consoli
ai primi segnali di crisi».
E poco importa se, in alcuni appunti ritrovati nella sua villa di Vicenza, Consoli si descrive come il «capro espiatorio» della vicenda che ha travolto Veneto Banca, perché secondo il Riesame «non v’è dubbio che egli sia stato il dominus incontrastato dell’istituto e come tale il promotore della politica aziendale».
Il timore principale, è proprio che Consoli, qualora tornasse libero, «replichi gli schemi a lui familiari o comunque torni a operare nel sistema creditizio con modalità illecite». Lo dimostra il fatto che, anche dopo essersi dimesso da ogni incarico, «abbia continuato ad assumere iniziative finalizzate a tentare di riguadagnare in qualche modo una capacità di influenza all’interno dell’istituto, tale da consentirgli di incidere sulle scelte di politica aziendale».
Ne sarebbero la dimostrazione alcune delle nuove prove presentate dalla procura di Roma. La vicenda è quella di «Veneto Banka Albania», una controllata dell’istituto. Su di essa, Consoli avrebbe ottenuto da un ex dipendente del «materiale segreto», in pratica alcuni dati societari «in vista di un’operazione di compravendita». Una fuga di notizie in seguito alla quale è stato presentato anche un esposto, perché «per Veneto Banca costituisce pericolo di subire gravi turbative e indebite interferenze». Ebbene, a casa di Consoli i finanzieri hanno sequestrato «una cartellina riportante la dicitura “Albania” contenente vari prospetti». E anche questo, dice il Riesame, dimostra come Consoli «stesse lavorando dietro le quinte per realizzare un progetto in grado di catapultarlo nuovamente all’interno del sistema bancario, con i connessi rischi di reintegrazione delle condotte così pesantemente stigmatizzate dai massimi organi di vigilanza».
Emblematica una conversazione tra l’indagato e un consulente della banca albanese. Risale all’1 agosto, il giorno prima del suo arresto, e Consoli dice: «Ascolta, stavo riprendendo in mano adesso le carte dell’Albania... vediamo se con l’arrivo del Fondo vogliono vendere o meno... io intanto parlo con gli amici qua... vediamo se riusciamo a fare qualcosa». È una delle nuove intercettazioni depositate dalla procura, e secondo i giudici dimostra che l’ex Ad «si è dichiarato intenzionato a veicolare notizie segrete a eventuali compratori interessati (gli “amici qua”)».
Insomma, il quadro indiziario «rende altamente probabile che si presentino occasioni prossime favorevoli alla consumazione di reati (...) ben potendo il Consoli riconquistare il controllo di un istituto bancario e tornarvi a operare con modalità illecite».
Interessante è anche un’altra intercettazione. Risale al 28 luglio di quest’anno e Consoli sta parlando con un ex dirigente di Veneto Banca. Insieme, commentano la decisione di Cristiano Carrus - già amministratore delegato e ora dg di Veneto Banca - di procedere con la nomina di nuovi direttori. I due descrivono l’operazione come una «epurazione totale dei consoliani» e concludono con un secco «prima o poi faremo fuori lui, vah!». Una frase che, per il Riesame, «mette in luce come il Consoli non abbia affatto abbandonato il progetto di tornare in qualche modo a “contare” in Veneto Banca», al punto di voler «scalzare colui (Carrus) che si è distinto per la sua politica di discontinuità con il passato».
Dal fronte opposto, la difesa affila le armi e annuncia che ricorrerà in Cassazione. Martedì scorso a Roma è stata discussa la richiesta di dissequestro dei beni di Vincenzo Consoli e di sua moglie Rita, che tra conti correnti, villa e opere d’arte, hanno un valore complessivo di circa 10 milioni di euro. La decisione è attesa nei prossimi giorni.
Ma l’appuntamento più importante nel futuro dell’ex Ad di Veneto Banca è quello fissato per il 21 ottobre quando, in procura a Roma, si svolgerà l’interrogatorio che lui stesso ha chiesto ai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta.