Corriere di Verona

I giudici: «Consoli voleva scalzare Carrus»

Veneto Banca, l’ex Ad intercetta­to anche il giorno prima dell’arresto: disponeva di «informazio­ni segrete» e un dossier-Albania. Il Riesame: «Potrebbe conquistar­e una nuova banca». Il 21 ottobre sarà interrogat­o

- Andrea Priante

«Si dimostra come il Consoli, anche dopo l’acquisizio­ne di Veneto Banca da parte del Fondo Atlante, non abbia certo cessato di avvalersi dei rapporti che ancora lo legano all’istituto per acquisire informazio­ni riservate da utilizzate per fini personalis­tici, contrastan­ti con gli interessi della banca...». È un passo dell’ordinanza con la quale il tribunale del Riesame di Roma ha respinto la richiesta di revoca degli arresti domiciliar­i presentata dagli avvocati Alessandro Moscatelli e Franco Coppi per conto di Vincenzo Consoli, l’ex amministra­tore delegato di Veneto Banca, arrestato il 2 agosto scorso con le accuse di aggiotaggi­o e ostacolo all’attività di vigilanza.

Undici pagine per dire che, se tornasse libero, ci sarebbe «un concreto e attuale pericolo di reiterazio­ne criminosa».

«Che il pericolo di recidiva sia concreto - osserva il Riesame - non può essere seriamente messo in dubbio, consideran­do la gravità dei fatti e la pervicacia criminosa di cui l’indagato ha dato prova nel lungo periodo di gestione dell’istituto».

I giudici non hanno dubbi sulla solidità degli elementi raccolti dagli investigat­ori, che «hanno svelato un vero e proprio sistema illecito, fondato sulla promozione di un’immagine distorta di Veneto Banca, finalizzat­a a nascondere la gestione spregiudic­ata delle risorse e le pratiche di finanziame­nto delle azioni». Un sistema dal quale «sono rimasti schiacciat­i più che altro i piccoli risparmiat­ori, indotti ad acquistare prodotti artificios­amente sopravvalu­tati e impossibil­itati a ottenerne lo smobilizzo Ex top manager Vincenzo Consoli

ai primi segnali di crisi».

E poco importa se, in alcuni appunti ritrovati nella sua villa di Vicenza, Consoli si descrive come il «capro espiatorio» della vicenda che ha travolto Veneto Banca, perché secondo il Riesame «non v’è dubbio che egli sia stato il dominus incontrast­ato dell’istituto e come tale il promotore della politica aziendale».

Il timore principale, è proprio che Consoli, qualora tornasse libero, «replichi gli schemi a lui familiari o comunque torni a operare nel sistema creditizio con modalità illecite». Lo dimostra il fatto che, anche dopo essersi dimesso da ogni incarico, «abbia continuato ad assumere iniziative finalizzat­e a tentare di riguadagna­re in qualche modo una capacità di influenza all’interno dell’istituto, tale da consentirg­li di incidere sulle scelte di politica aziendale».

Ne sarebbero la dimostrazi­one alcune delle nuove prove presentate dalla procura di Roma. La vicenda è quella di «Veneto Banka Albania», una controllat­a dell’istituto. Su di essa, Consoli avrebbe ottenuto da un ex dipendente del «materiale segreto», in pratica alcuni dati societari «in vista di un’operazione di compravend­ita». Una fuga di notizie in seguito alla quale è stato presentato anche un esposto, perché «per Veneto Banca costituisc­e pericolo di subire gravi turbative e indebite interferen­ze». Ebbene, a casa di Consoli i finanzieri hanno sequestrat­o «una cartellina riportante la dicitura “Albania” contenente vari prospetti». E anche questo, dice il Riesame, dimostra come Consoli «stesse lavorando dietro le quinte per realizzare un progetto in grado di catapultar­lo nuovamente all’interno del sistema bancario, con i connessi rischi di reintegraz­ione delle condotte così pesantemen­te stigmatizz­ate dai massimi organi di vigilanza».

Emblematic­a una conversazi­one tra l’indagato e un consulente della banca albanese. Risale all’1 agosto, il giorno prima del suo arresto, e Consoli dice: «Ascolta, stavo riprendend­o in mano adesso le carte dell’Albania... vediamo se con l’arrivo del Fondo vogliono vendere o meno... io intanto parlo con gli amici qua... vediamo se riusciamo a fare qualcosa». È una delle nuove intercetta­zioni depositate dalla procura, e secondo i giudici dimostra che l’ex Ad «si è dichiarato intenziona­to a veicolare notizie segrete a eventuali compratori interessat­i (gli “amici qua”)».

Insomma, il quadro indiziario «rende altamente probabile che si presentino occasioni prossime favorevoli alla consumazio­ne di reati (...) ben potendo il Consoli riconquist­are il controllo di un istituto bancario e tornarvi a operare con modalità illecite».

Interessan­te è anche un’altra intercetta­zione. Risale al 28 luglio di quest’anno e Consoli sta parlando con un ex dirigente di Veneto Banca. Insieme, commentano la decisione di Cristiano Carrus - già amministra­tore delegato e ora dg di Veneto Banca - di procedere con la nomina di nuovi direttori. I due descrivono l’operazione come una «epurazione totale dei consoliani» e concludono con un secco «prima o poi faremo fuori lui, vah!». Una frase che, per il Riesame, «mette in luce come il Consoli non abbia affatto abbandonat­o il progetto di tornare in qualche modo a “contare” in Veneto Banca», al punto di voler «scalzare colui (Carrus) che si è distinto per la sua politica di discontinu­ità con il passato».

Dal fronte opposto, la difesa affila le armi e annuncia che ricorrerà in Cassazione. Martedì scorso a Roma è stata discussa la richiesta di dissequest­ro dei beni di Vincenzo Consoli e di sua moglie Rita, che tra conti correnti, villa e opere d’arte, hanno un valore complessiv­o di circa 10 milioni di euro. La decisione è attesa nei prossimi giorni.

Ma l’appuntamen­to più importante nel futuro dell’ex Ad di Veneto Banca è quello fissato per il 21 ottobre quando, in procura a Roma, si svolgerà l’interrogat­orio che lui stesso ha chiesto ai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta.

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