«Noi, prof dei veri braccialetti rossi»
Viaggio tra gli insegnanti in Pediatria «Facciamo lezione con lo scafandro, qui impariamo la voglia di resistere»
In fondo al corridoio che conduce alle camere occupate da bambini e ragazzi, si apre una piccola nicchia, con una scritta colorata: «Scuola». Per oltre quindici anni è stata uno dei segreti meglio custoditi del mondo dell’istruzione veronese. Tanto da stupire ancora le mamme e i papà quando varcano la porta della pediatria dell’ospedale di Borgo Trento. Un viaggio tra gli insegnanti della scuola in ospedale, tra lezioni in scafandro e la voglia di non mollare mai dei piccoli pazienti.
Per oltre quindici anni è stata uno dei segreti meglio custoditi del mondo dell’istruzione veronese. Tanto da stupire ancora le mamme e i papà quando varcano la porta della (ora) piccola pediatria di Borgo Trento, nella sua sistemazione temporanea del vecchio padiglione 14 degli «Ospedali civili».
In fondo al corridoio che conduce alle camere occupate da bambini e ragazzi, si apre una piccola nicchia, con una scritta colorata: «Scuola». Per il momento è poco più di uno stanzino, ma fra sei mesi potrà contare su aule del tutto nuove. Per chi ci lavora dentro sarà un grande traguardo. Sono cinque insegnanti a tempo pieno: due per le elementari, tre per le medie, matematica, inglese - italiano e discipline tecniche. Si spartiscono classi fluttuanti fatte di pochi ragazzi, alcuni frequentano per pochi giorni, altri per anni, seppur saltuariamente.
Per tutti loro è stata una scelta. A cominciare da Francesca Blasi, adesso la coordinatrice di questo gruppetto: «Ero un’insegnante di sostegno - racconta - ho visto la parola “ospedale” nell’elenco dei posti a disposizione per il trasferimento e l’ho scelto. Non me ne sono pentita». Quasi lo stesso percorso di Mirta Comerlati, prof di matematica: «Ho girato mezza provincia di Verona - spiega - alla fine avevo anche la mia cattedra. Ma qualcosa mi ha spinto verso qui: la possibilità di avere un rapporto unico e diretto con gli studenti, che nelle classi sovraffollate si è perso. Ecco perché ora non cambierei mai: è la scuola che si avvicina di più al mio ideale di insegnamento». Paolo Biasin, insegnante di tecnica, che questa sezione «speciale» l’ha vista nascere: «Abbiamo cominciato facendo dei “distacchi”: si insegnava un po’ qui, un po’ nelle nostre scuole. Quando abbiamo iniziato non c’era niente, neanche il telefono: nel nostro piccolo, ci abbiamo creduto noi. E ora che sono a un passo dalla pensione posso dire che non tornerei indietro».
Ora la scuola è parte del comprensivo della Valdonega, scelto perché geograficamente vicino a Borgo Trento, anche se comprende il reparto di pediatria oncologica di Borgo Roma. Forse è proprio in quest’ultimo dove l’insegnamento diventa un’attività ancora più difficile, soprattutto dal punto di vista umano, come spiegano le docenti. «Nei primi anni di lavoro - racconta Comerlati ho visto morire in media sette - otto dei mie alunni ogni anno. È devastante, perché col tempo si comincia a capire quando le cose vanno male. Si comincia a insegnare loro che stanno ancora bene, poi entrano in terapia intensiva, finché non si capisce che è troppo tardi. Ma noi abbiamo il dovere di continuare lo stesso. Anche perché la scuola, qui, rappresenta ben più della necessità di avere un’istruzione. Rappresenta la voglia di continuare, di resistere».
Alla Pediatria di Borgo Trento ci sono gli alunni che, tendenzialmente, si fermano poco. «In molti casi - racconta Blasi - sono problemi ortopedici. Moltissimi i ragazzi che si infortunano giocando a calcio». Tanti ricoveri lunghi, invece, solo un padiglione più in là, dove sono ricoverati i bambini che soffrono di fibrosi cistica. Sono loro, per dirlo in gergo da marketing, gli utenti più «fidelizzati» del polo scolastico ospedaliero. In reparto ci devono tornare spesso, più volte durante l’anno, per tutta la loro carriera scolastica. «Sono sicuramente i più organizzati - dice sempre Blasi - quando sanno del ricovero arrivano con tutto il materiale scolastico».
I docenti della scuola in ospedale hanno il compito delicato di portare avanti l’attività, compiti e ripasso, diversa per ogni giovane studente. Le lezioni, in questo caso, sono quasi sempre individuali, per i rischi che la malattia comporta. «Dobbiamo entrare con una sorta di scafandro - spiegano le insegnanti - purtroppo è una situazione che anche i bambini soffrono. Ma non c’è altro modo». Non sono solo i pazienti ad andare a lezione, anche per chi insegna, quella in ospedale è una «scuola di vita».Nonostante il luogo, gli insegnanti della scuola in ospedale fanno di tutto affinché i loro alunni possano avere le stesse opportunità di chi frequenta gli istituti «normali».
Una mamma Consentono a mio figlio di staccare dalla routine ospedaliera e il ritorno in classe è meno brusco
Non si possono fare le gite ai musei? Allora vengono i musei, leggi i tecnici che gestiscono quelli civici, dagli studenti. Una convenzione esiste già con il museo di storia naturale. Non si tralasciano, tra le materie, nemmeno principi di informatica e tecnologie applicate, implementati dal professor Biasin fin dai primi anni della scuola. E i genitori? «Per mio figlio la scuola è una boccata d’aria fresca - dice Katia Fornaro, da Monteforte d’Alpone madre di Lorenzo, ragazzo affetto da fibrosi cistica - rappresenta anche l’opportunità di staccare dalla routine quotidiana. Grazie ai docenti “ospedalieri” questa possibilità non viene mai meno e anche fare il passaggio dal ricovero al ritorno in classe è meno brusco».