Anselmi: migliaia a casa, non ci sto
Lo sfogo dopo le dimissioni da Veneto Banca: «Lascio per essere a posto con la coscienza»
Non posso accettare che un padre non possa comprare le scarpe a un figlio perché perde il lavoro». Il giorno dopo la notizia delle dimissioni dalla presidenza di Veneto Banca Beniamino Anselmi spiega le ragioni del suo passo indietro. «Preferisco rinunciare alla poltrona, ma essere in pace con la coscienza. Una fusione può essere opportuna, ma con un processo strutturato e meditato. Le persone non sono barattoli»
Ci ha pensato sopra per una notte, quella che ha fatto seguito alle dimissioni da presidente di Veneto Banca dopo appena 90 giorni - un record al ribasso di durata che, di per sé, dice già molte cose -, poi è giunto alla conclusione che alcune cose andavano dette. In modo chiaro. «Perché forse sarò un uomo fuori dal tempo - spiega Beniamino Anselmi - ma preferisco non prendere nulla, rinunciare alla poltrona ed essere in pace con la coscienza e con le persone che incontro per strada».
Cosa che, evidentemente, se fosse rimasto alla guida della ex Popolare montebellunese non gli sarebbe stata possibile, soprattutto per la piega che ha preso la vicenda da quando i piani del Fondo Atlante, signore e padrone delle due banche venete in crisi, hanno virato decisamente verso una fusione tra Vicenza e Veneto Banca, con corredo di mutilazioni del personale (si è parlato, complessivamente, di oltre 2.500 persone in esubero o, peggio ancora, da licenziare).
Ieri mattina alle 9, Anselmi è entrato per l’ultima volta nel suo ufficio di presidente, al terzo piano del quartier generale montebellunese. Ha sistemato le carte, liberato i cassetti, risposto ad alcune telefonate di vecchi azionisti dispiaciuti, letto diverse mail «persino toccanti» che gli sono arrivate dai dipendenti. E poi ha lanciato il suo messaggio ai naviganti nei mari di Atlante affidandolo a un cronista dell’Ansa di Milano.
«Ho fatto un passo indietro perché certe scelte preferisco non farle - ha esordito, netto e tondo, Anselmi -. Non stiamo parlando di barattoli ma di persone in carne e ossa. Se parlo di esuberi devo dire come li tratto. Non è solo un problema contrattuale: quando tocco il lavoro creo tensioni che si riflettono sulle famiglie, sui figli, creo degli sconvolgimenti di carattere sociale che lasciano ferite sulle persone».
Non sono parole polemiche, le sue, nè verso il capo supremo Alessandro Penati, numero uno di Quaestio Sgr e del Fondo Atlante, e neppure nei confronti del collega e forse competitore Gianni Mion, presidente di Popolare Vicenza, con cui innegabilmente ci sono state visioni diverse - a cominciare proprio dalla spinta data al disegno di aggregazione - sulla via da percorrere per ristrutturare le due banche, come Atlante ordina e dispone. Sono, quelle di Anselmi, semplicemente parole che vogliono essere di buon senso: «Ho deciso in maniera molto pacata - ha sottolineato l’ormai ex presidente -, ho fatto una valutazione per il bene dell’istituzione e ho voluto evitare spaccature. Una fusione - è la sua idea può anche essere opportuna ma con un processo strutturato e meditato, con un forte impegno non soltanto economico ma anche sociale. Perché senza i dipendenti, anzi senza i colleghi, come io li chiamo, e senza i clienti non si va da nessuna parte».
Il rifiuto dei «tagli selvaggi» al personale rivela, da parte di Anselmi, anche la convinzione che una strada alternativa esista e sia transitabile. «Faccio fatica ad accettare che un padre di famiglia vada in difficoltà per colpa mia. È probabilmente un mio limite, ma non posso cancellare la mia storia e la mia coscienza. Per questo ho preferito fare un passo indietro. Detto questo, penso che uno sia un buon manager non se manda a casa le persone ma se riesce a creare valore. Certo, per fare questo serve uno sforzo in più, servono capacità di carattere innovativo e gestionale, che possano migliorare l’efficienza e ridurre i costi».
Come, per esempio? «Ci si può riuscire con i contratti di solidarietà - batte su un tasto che gli sta molto a cuore -, motivando i dipendenti e condividendo i sacrifici, suscitando la loro determinazione e il loro coinvolgimento. Se dico che ci sono duemila esuberi mette in chiaro Anselmi - devo anche dire che cosa faccio per gestirli, perché se no la banca, che è fatta anche di aspetti intangibili come la fiducia e la motivazione dei dipendenti, non vive più».
È cosa nota che l’ex presidente pensava di gestire le eccedenze di personale attivando il fondo esuberi e i contratti di solidarietà, ripartendo i sacrifici tra tutti i dipendenti (top management compreso) e sfruttando strumenti innovativi di organizzazione del lavoro come il telelavoro. «Se sono una bancaria - è il suo modo di vedere le cose - una pratica di fido la posso lavorare la sera tra le 7 e le 9, da casa, risparmiando i costi della baby sitter e del trasporto per arrivare al lavoro. L’importante è che la pratica sia pronta la mattina dopo».
Perché, al dunque, Beniamino Anselmi ha comunque accettato di rimanere, come semplice consigliere di amministrazione, nel board di Veneto Banca? «Come ho già detto, resto per dare un apporto sulla parte tecnica, per migliorare l’organizzazione del lavoro e l’information technology. Ma resto - aggiunge - anche per dimostrare che non fuggo dalle responsabilità e le voglio condividere con i colleghi consiglieri. In questi tre mesi - è il bilancio finale di Anselmi - abbiamo lavorato tanto, abbiamo fatto riunioni di Cda da 7-8 ore consecutive, sono stati rinnovati i consigli, deliberata l’azione di responsabilità nei confronti della vecchia gestione, venduto l’aereo privato, tagliato i costi e dato un esempio di sobrietà. Spero solo che lavorare tanto non sia diventato peccato perché allora sì, sono stato un peccatore».
La giornata
Ieri mattina alle 9 è stato per l’ultima volta in ufficio: le telefonate dei vecchi soci e le mail «toccanti» di alcuni dipendenti La sua filosofia
Il buon manager non è quello che manda a casa le persone ma che riesce a creare valore