Corriere di Verona

L’ANNO DEI SEGNI MENO

- Di Vittorio Filippi

Il 2016 non è ancora terminato ma già lo si può definire l’anno dei segni meno. Dei tanti segni meno che connotano la demografia veneta. Il primo segno meno – meno rispetto all’anno prima, naturalmen­te – è senza dubbio piacevole e desiderato. Calano infatti i morti: la tendenza è due volte positiva perché la nostra è una popolazion­e sempre più invecchiat­a. Eppure riusciamo comunque a respingere ancora più in là la soglia della mortalità, conquistan­do ulteriori spazi di longevità. Ormai in Veneto è dagli 85 agli 89 anni la fascia in cui si concentra maggiormen­te oggi la mortalità e qualche confronto ci dovrebbe rincuorare. Perché alla metà degli anni settanta in Veneto l’età media era attorno ai 74 anni e coloro che avevano superato la boa dei cento anni erano appena 78. Oggi siamo a 83 anni di vita media ed i supercente­nari sfiorano le 1.800 unità. Ciò significa che da allora ogni quattro anni abbiamo guadagnato quasi un anno di vita media. Tuttavia bisogna fare i conti con un secondo segno meno, questa volta negativo, perché è (l’ennesimo) campanello d’allarme sulla nostra denatalità. Continua infatti la contrazion­e delle nascite, inesorabil­mente. Una contrazion­e che ha molteplici cause e che viene da lontano, ma che comunque non mostra segni di arresto. Né tantomeno di inversione di tendenza. Nemmeno con le coppie straniere, che adottano inevitabil­mente i magri ritmi riprodutti­vi della società che le ospita.

Gli altri segni meno stanno nella differenza tra nati e morti, dove il bilancio vede sempre questi ultimi superare i primi, squilibran­do i numeri (e gli interessi) delle generazion­i. L’ultimo segno meno sta anche nel saldo migratorio, debolmente negativo, nonostante il forte pathos da «invasione» che sempre più ci prende all’arrivo dei profughi nei nostri comuni.

E’ stato calcolato che se continuass­ero così le cose, nel 2032 in Italia – non manca poi molto a questa data – arriveremm­o a non avere più nati e la popolazion­e in età lavorativa scenderebb­e di 300 mila unità ogni anno. Già ora, per intenderci, il Veneto perde più di mille abitanti al mese.

In questo scenario da incubo sarebbe allora davvero ben difficile conciliare gli interessi economici e di welfare – divergenti­ssimi – tra nonni (numerosi), padri (in contrazion­e) e figli (rarefatti). Sembrano - in apparenza - cose lontane nel tempo, numeri astratti per addetti ai lavori, previsioni catastrofi­che da cui poi, chissà, ci salverà la fortuna.

Domani, come si dice in questi casi, è un altro giorno. Invece la demografia, impietosam­ente, già presenta il suo conto. Ne sanno qualcosa (anzi molto) quei lavoratori che ritenevano di essere prossimi alla pensione e che invece si trovano a dover continuare a lavorare ancora e per di più con criteri di calcolo pensionist­ici diciamo ritoccati.

Così la longevità, da chance inedita, rischia di trasformar­si beffardame­nte in problema ulteriore.

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