Corriere di Verona

Arslan, gli armeni e una lettera a una giovane turca

- di Francesca Visentin

Auna ragazza turca di oggi si rivolge Antonia Arslan nel narrare tre storie di donne armene forti, determinat­e, mai sopraffatt­e. Nasce così il nuovo libro della scrittrice padovana di origine armena, Lettera a una ragazza in Turchia

(Rizzoli, 144 pagine, 15 euro). Antonia Arslan sceglie una giovane donna contempora­nea («ci sei nata e ci stai in quel magnifico Paese dove i miei antenati per millenni hanno vissuto, combattuto, creato regni e chiese di cristallo... Da dove noi siamo stati cacciati per sempre»), per tramandare le vicende di tre figure femminili indimentic­abili, che combattono per sopravvive­re ma anche per difendere i loro ideali.

«Dovrai scoprire il coraggio sotterrane­o dei deboli», scrive alla ragazza turca. E riflettere sul fatto che «è possibile tu non sia solo turca, che il sogno inculcato dall’infanzia di una purezza di sangue che vi rende eredi dei conquistat­ori sia vano artificio retorico. Molto vi siete mescolati con il sangue dei conquistat­i». Così Arslan rivela e ribadisce che molte bambine armene rapite e inserite in famiglie turche che tolsero loro nome, identità, religione, costumi, sono strettamen­te intrecciat­e con le giovani turche di oggi, nonostante «la ferrea cupola della menzogna di Stato».

Antonia Arslan, non può fare a meno di tramandare la memoria della comunità armena scomparsa dal «Paese Perduto», gli erranti sopravviss­uti al genocidio dei Turchi, con la nostalgia eterna di quella terra «di latte e miele» di cui si favoleggia nelle case degli esuli armeni sparsi nel mondo. «Sulle mie spalle si posa inflessibi­le il popolo scomparso», scrive Antonia Arslan. Raccontare diventa quindi urgenza, dovere, missione. E la memoria si fa antidoto contro la paura. In questo periodo storico in cui minacce, violenza, attentati, si propagano da Oriente a Occidente, da Istanbul a Bruxelles, Antonia Arslan trascina in un viaggio nella storia, tra donne che hanno combattuto per il loro futuro.

Hannah, bimba in fuga dall’Armenia, nata nel 1910 vicino al monte Ararat, sopravviss­uta allo sterminio, «curiosa e ostinata», che «si promette di non arrendersi mai, di resistere a qualsiasi cosa le capiterà». Fame, stenti, violenza, solitudine, ma Hannah ce la farà, diventerà imprenditr­ice di successo negli Stati Uniti. «Tener duro si può, si deve. Sono una figlia d’Armenia». E poi Iskuhi, la bellissima moglie di Khayel, «guance di pesca e occhi rotondi», che divora giornali e riviste, appassiona­ta di Florence Nightingal­e, rivoluzion­aria nelle idee e nella voglia di diffondere l’antica cultura armena, ma rinnovando la lingua dei padri. Morirà partorendo il secondo figlio, a 19 anni. E il suo primogenit­o Yerwant (medico geniale, nonno di Antonia Arslan), conserverà per sempre con nostalgia dentro si sé quel «profumo di mamma» che lo aveva lasciato a tre anni.

Infine la storia di Noemi, che si sposò con Levon (brillante giovane medico dei «felici dottori Arslanian»). Un amore splendente fino a quando i turchi cancellaro­no il loro futuro. Levon viene ucciso, ma Noemi rifiuterà il ricatto del maresciall­o turco innamorato di lei, firmando così anche la sua condanna a morte. Figure potenti, quelle narrate da Antonia Arslan, restano impresse a fuoco nell’anima di chi legge. Voci femminili accomunate dalla volontà di decidere del proprio futuro, di affermarsi come donne. «Se sei donna ci vuole un’audacia straordina­ria per restare libera e prendere in mano il tuo destino».

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